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SAMIR AL-QASIM (Giordania, 1939) Lettera di un morto in esilio

SAMIR AL-QASIM
(Giordania, 1939)
Lettera di un morto in esilio
Un giorno mi sorpresero:
spinsero via la madre e la sorella
mi arrestarono.
*
Erano quali statue di polvere,
dei visi che han perduto la luce degli occhi,
quando vennero all’improvviso
mi arrestarono.
*
Mio padre era allora lì a pregare
il Signore della terra:
pregava nel podere da noi ereditato dai nonni
quando vennero all’improvviso e mi arrestarono.
*
Mi portarono lontano
mi buttarono nel buio di un carcere dove m’incoronarono di spine.
Ciò malgrado, la mia fronte rimase alta.
*
Sul fango e sui fili spinati
mi trascinarono tutta la notte;
Ciò malgrado la mia fronte rimase alta.
*
Sfregarono con sabbia e con sale le mie ferite
in un angolo odioso mi scalciarono.
Le loro scarpe nere erano estranee:
erano dei resti dei maledetti schutztaffel dei Nazisti (di Bonn)…



Diventai un giardino di ferite

Samih Al-Qasim – Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!

Samih Al-Qasim

Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!..
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto.. un muro!

 

Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-‘Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!..
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai.. studenti.. poeti..
la dichiarerò.. e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima..
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole.. pane e arma.. nelle mani dei ribelli!
 

R Mahumoud Darwisch – Reazione

R Mahumoud Darwisch
Reazione
Patria mia, il ferro delle mie catene mi insegna
la violenza delle aquile e la tenerezza dell’ottimista.
Non sapevo che sotto le nostre pelli
ci fosse nascita d’uragani e nozze di ruscelli.
M’han precluso la luce in una cella,
ma nel cuore s’illumina… un sole di fiaccole.
Han scritto sulla parete il numero della mia tessera,
ma sulla parete è sorto un prato di spighe.
Han disegnato sulla parete l’immagine del mio uccisore,
ma l’ombra delle sue trecce ne ha cancellato i tratti.
Ho inciso coi denti la tua effige, sanguinando
e ho scritto il canto della tenebra partente.
Ho messo nella carne della tenebra la mia sconfitta
e ho infilato nei capelli delle luci le mie dita.
E i conquistatori sui tetti delle mie abitazioni
han conquistato solo le promesse dei miei terremoti,
vedranno solo il luccichio della mia fronte
non udranno che lo stridor delle mie catene.
E se bruciassi sulla croce della mia devozione
diverrò un santo in veste di combattente.

Anonimo Palestinese – Polvere da sparo

Anonimo Palestinese

Polvere da sparo

A colui che scava nella ferita di milioni la sua strada

A colui che sul carro armato schiaccia le rose del giardino

A colui che di notte sfonda le finestre delle case

A colui che incendia l’orto, l’ospedale e il museo

e poi canta sull’incendio.

A colui che scrive con il suo passo il lamento delle madri

orfane dei figli,

vigne spezzate.

A colui che condanna a morte la rondine della gioia

A colui che dall’aereo spazza via i sogni della giovinezza

A colui che frantuma l’arcobaleno,

stanotte i bambini dalle radici tronche,

stanotte i bambini di Rafah proclamano:

noi non abbiamo tessuto coperte da treccia di capelli

noi non abbiamo sputato sul viso della vittima

(dopo averle estratto i denti d’oro)

Perché ci strappi la dolcezza

e ci dai bombe?

E perché rendi orfani i figli degli arabi?

Mille volte grazie.

Il dolore con noi ha raggiunto l’età virile

e dobbiamo combattere.

Il sole sul pugnale di un conquistatore

era nudo corpo profanato

e prodigava silenzio sul rancore delle preghiere,

intorno facce stravolte.

Urla il soldato della leggenda:

“Non parlerete?

Bene! Coprifuoco tra un’ora”

E dalla voce di Ala’uddin esplode

la nascita dei guastatori bambini:

io ho buttato una pietra sulla jeep

io ho distribuito volantini

io ho dato il segnale

io ho ricamato lo stemma

portando la sedia

da un quartiere…a una casa…a un muro

io ho radunato i bambini

e abbiamo giurato sulla migrazione dei profughi

di combattere

finché brillerà nella nostra strada il pugnale di un

conquistatore.

(Ala’uddin non aveva ancora dieci anni)

Mahmud Darwish – Sedile di treno

Mahmud Darwish
Sedile di treno

Non abbiamo fazzoletti, amori dell’ultimo
secondo, luci della stazione, una rosa lusinga
il cuore in cerca di un soprabito di nostalgia.
Le lacrime ingannano la banchina, non abbiamo leggende.
Da qui sono partiti, laggiù saremo felici al nostro arrivo?
Non abbiamo gigli per baciare i binari del treno.
Viaggiamo in cerca del nulla perché non amiamo i treni se le
stazioni sono nuovi esili.
Non abbiamo lampade per vedere il nostro amore in piedi
ad aspettare il fumo.
Un treno rapido che recide i laghi.
In ogni tasca chiavi di casa e una foto di famiglia.
Tutti i passeggeri tornano in famiglia, noi, invece,
mai torne­remo a casa.
Viaggiamo in cerca del nulla per conquistare l’onestà
delle farfalle.
Non abbiamo finestre, ci salutano in ogni lingua.
Pare che la terra fosse più visibile quando montavamo
anti­chi destrieri?
Dove sono i cavalli, le vergini dei poemi?
Dove sono i canti della natura che erano in noi?
Sono lontano dalla mia distanza. Quanto è lontano l’amore!
Le fanciulle ci catturano leste come ladri di beni.
Abbandoniamo gli indirizzi ai vetri dei treni;
noi, che amiamo per dieci minuti,
non possiamo tornare in nessuna casa, dove eravamo,
non ci è dato superare due volte l’eco.

Mahmoud Darwish – La terra è stufa di noi

Mahmoud Darwish
La terra è stufa di noi
Ci respinge la terrae
ci costringe nell’ultimo varco
ci spogliamo dalle membra per poter passare.
Ci spreme la terra.
Magari fossimo il suo grano
per morire e
Rinascere.
Magari fosse madre nostra
Perché abbia pietà di noi.
Magari fossimo dipinti sulle rocce,
che il nostro sogno porterà,
come specchi.
Abbiamo visto i volti
Di chi verrà assassinato
Dall’ultimo di noi,
in difesa dell’anima!
Abbiamo pianto sulle feste
dei loro bambini.
Abbiamo visto i volti
di chi lancerà i nostri bambini
dalle finestre di questo ultimo spazio.
Specchi che la nostra stella appenderà!
Dove andremo dopo le ultime frontiere?
Dove voleranno le rondini dopo l’ultimo cielo?
E dove dormiranno gli alberi dopo l’ultimo
respiro d’aria?
Scriveremo i nostri nomi
Con vapore scarlatto,
interromperemo il canto,
perché lo completi la nostra carne lacerata.
Qui moriremo,
qui nell’ultimo passaggio,
qui o forse qui,
pianterà i suoi olivi il nostro sangue.

Samih Al-Qàsim – Gaza

Samih Al-Qàsim

Gaza

E l’orco, e la fenice, e l’amico fidato
conosco, i loro volti so a memoria.
Anche la morte sa tutto a memoria.
Nella folla giù al porto di coloro
che vengono da un’epoca antica
e delle aspirazioni di coloro
che sono stati anticamente uccisi
nel porto delle barche,
delle lingue ci guardi
Dio clemente dal male
che le sue mani hanno creato,
ci protegga dal male del maligno
che le sue mani hanno forgiato.
Orco e fenice, ed il sangue, e le reti,
la discendenza e il compagno fedele
dall’inizio del mondo stanno là,
là alla fine del mondo.
L’alta sua fronte, un albero maestro
oscillante sul tetto del fumo.
Mi rivolgo a lei, sul collo
i ceppi d’una morte temporanea,
e le chiedo: le mura
della prigione leccano
la vergogna; che cosa, chi sei tu?
Una città oppure un avamposto,
una trincea di petti tatuati
da ogni tipo di armi,
o sui petti coraggiosi
sono tutte le armi ottuse e offese?
Che cosa sei, chi sei?
Sei città, sei macello?
Gli stranieri controllano
di tanto in tanto il melo
della ferita tua, se fiorirà.
Per i vincenti razziatori
controllano gli estranei
la tua ferita che all’ombra
del gelsomino fa sangue.
Dìagnostican0: forse
fiorirà,
all’alba forse Gaza morirà.
Ma nell’alba triste tornano
le grida del tuo amore, ed è più forte
la vita,
più forte! Salve a te,
sorella ai resistenti
più forte, più in alto. Salute
o sorella ai miracoli, da vent’anni,
i miei piedi, in catene da vent’anni
le mie mani da vent’anni,
straziato amore, nel fuoco:
i vent’anni, ahimè vent’anni
di notte e filo spinato
sono la mia finestra verso te,
sono ancora un amore
vietato,
io bambino che gioca nella piazza,
giovanile violenza a chi violenta
te sulla terra tua,
l’ucciso sul marciapiede,
i vigorosi i forti che non cadono,
io le case
l’arancio
la sofferenza io la resistenza
le centinaia io, io le migliaia.
Oggi gli innamorati
devono scegliere morte
o eterna separazione.
Oggi le nozze del mio sangue sparso:
viviamo io e tu
amore perseverante o moriamo.

Mahmoud Darwish – Pensa agli altri

Mahmoud Darwish
Pensa agli altri

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì : magari fossi una candela in mezzo al buio.

Mahmoud Darwisck – Passanti tra parole fugaci

Mahmoud Darwisck
Passanti tra parole fugaci
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci
portate i vostri nomi,
ed andatevene.
Ritirate i vostri istanti dal nostro tempo,
ed andatevene.
Rubate ciò che volete dall’azzurrità del mare
e dalla sabbia della memoria.
Prendete ciò che volete d’immagini,
per capire  che mai saprete
come una pietra dalla nostra terra
erige il soffitto del nostro cielo.
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci
da voi  la spada … e da noi il  sangue
da voi l’acciaio, il fuoco … e da noi la  carne
da voi un altro carro armato … e da noi un sasso
da voi una bomba lacrimogena … e da noi la pioggia.
E’ nostro ciò che avete di cielo ed aria.
Allora, prendete la vostra parte del nostro sangue,
ed andatevene.
Entrate ad una festa di cena e  ballo,
ed andatevene.
Noi dobbiamo custodire i fiori dei martiri.
Noi dobbiamo vivere, come  desideriamo.
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
Come la polvere amara, marciate dove volete
ma non  fatelo  tra di noi, come insetti volanti.
L’aceto è nella nostra terra finché lavoriamo,
mietiamo il nostro grano, lo annaffiamo
con le rugiade dei nostri corpi.
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
un sasso … o una soggezione.
Prendete il passato, se volete, e portatelo
al mercato degli oggetti artistici.
Rinnovate lo scheletro all’ upupa, se volete,
su un vassoio di terracotta.
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
abbiamo il futuro….e abbiamo
nella nostra terra, ciò che fare.
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
Ammassate le vostre fantasie in una
fossa abbandonata,  ed andatevene.
E riportate le lancette del tempo
alla legittimità del vitello sacro
o al momento della musica di una pistola !
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta
abbiamo ciò che non c’è  in voi:
una patria sanguinante
un popolo sanguinante,  una patria
adatta all’oblio  o alla memoria ….
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
E’ giunto il momento che ve ne andiate
  e dimoriate dove volete, ma non tra noi.
E’ giunto il momento che vi ne andiate
e moriate dove volete, ma non tra noi.
Abbiamo nella nostra terra, ciò che fare
il passato qui è nostro.
E’  nostra la prima voce della vita,
nostro il presente … il presente e il futuro
nostra, qui, la vita …e nostra l’eternità.
Fuori dalla nostra patria  …
dalla nostra terra … dal nostro mare
dal nostro grano … dal nostro sale
dalla nostra ferita …da ogni cosa.
Uscite dai ricordi della memoria
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci !….

Samih al Qasim – Per i Bimbi di Rafah

Samih al Qasim

Una poesia scritta da mano palestinese
e rivolta ai bimbi di Rafah e della Palestina tutta.

A colui che scava nella ferita di milioni la sua strada

A colui che sul carro armato schiaccia le rose del giardino
A colui che di notte sfonda le finestre delle case
A colui che incendia l’orto, l’ospedale e il museo
e poi canta sull’incendio.
A colui che scrive con il suo passo il lamento delle madri
orfane dei figli,
vigne spezzate.
A colui che condanna a morte la rondine della gioia
A colui che dall’aereo spazza via i sogni della giovinezza
A colui che frantuma l’arcobaleno,
stanotte i bambini dalle radici tronche,
stanotte i bambini di Rafah proclamano:
noi non abbiamo tessuto coperte da treccia di capelli
noi non abbiamo sputato sul viso della vittima
(dopo averle estratto i denti d’oro)
Perché ci strappi la dolcezza
e ci dai bombe?
E perché rendi orfani i figli degli arabi?
Mille volte grazie.
Il dolore con noi ha raggiunto l’età virile
e dobbiamo combattere.
Il sole sul pugnale di un conquistatore
era nudo corpo profanato
e prodigava silenzio sul rancore delle preghiere,
intorno facce stravolte.
Urla il soldato della leggenda:
“Non parlerete?
Bene! Coprifuoco tra un’ora”
E dalla voce di Ala’uddin esplode
la nascita dei guastatori bambini:
io ho buttato una pietra sulla jeep
io ho distribuito volantini
io ho dato il segnale
io ho ricamato lo stemma
portando la sedia
da un quartiere…a una casa…a un muro
io ho radunato i bambini

e abbiamo giurato sulla migrazione dei profughi

di combattere
finché brillerà nella nostra strada il pugnale di un
conquistatore.
(Ala’uddin non aveva ancora dieci anni)

Oggi però la dedico a chi da quella terra non dista molto: dedico queste righe ai bimbi di Bosra, la mia unica oasi di pace al mondo dopo gli occhi di mio figlio e l’abbraccio di chi amo. La dedico a quei bambini, la dedico ai miei amici, a coloro che come nessun altro m’ha fatto sentire a casa.

Ripetutamente. La dedico a te, che sei sangue mio, fratello beduino.