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Divina Commedia – ( Dante ci scusi ) Alberto Severi 3°

Divina Commedia

3° Canto

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Scusi

“Per me si va nella città indolente,
per me si va, tra museo e albergatore,
per me si va indoe di novo ‘un c’è niente,
dal Ponte Vecchio all’ “Antico Fattore”.
Per cui mezza città cose passate
la vende, e l’altra mezza fa “il gestore”.
L’è un dì che qui non son cose create,
se non dai cani intenti a far pupù.
Mangiate ogne pietanza voi ch’entrate.” (1)
Queste parole con vernice blu,
le vid’io scritte in cima a Port’ al Prato, (2)
per ch’io: “Come accidenti a ire lassù,
gli ha fatto il writer , o graffitar malnato?” (3)
“Vandalo invero, ma non bugiardo, ammetto”,
ammise Eugenio Giani, equilibrato.
Lo duca mio! Pur me l’aveva detto
che qui avrem vist’ indigeni e turisti
ch’hanno perduto il ben dell’intelletto.
“Siam sui Viali. (4) E gli auto-mobilisti
sono auto… immobili, e inceppan mille guai:
sono spagnoli, cinesi, sangue-misti…
a all’or di cena arriveran giammai”.
Un malizioso sorriso fe’ lo duca.
“D’altronde e’ son turisti, tu lo sai:
da tutto mondo, gli è qui che fanno buca.”
Diverse lingue, orribili favelle
(“pirla! fuckoff! putain! zopènca! suca!”),
nemmeno avean più voglia di crespelle
e ribollita, ma avean trovato ‘ l modo,
fra tante genti a cena, d’esser quelle
che visser sanza fame e sanza brodo.
E intorno a lor di “vespe” e “scarabei”(5)
rombante nugol di moto batte chiodo…
“Poeracci!”, i’ fe’. “Assaliti – in nulla rei (6) – ,
da moto-insetti, quai viti da fillossera,
…mi fanno pena!” Ma il duca adocchiò lei:
“Non ragioniam di lor, guarda che pàssera!”
Colpito dal vocabolo sì ardito,
in uno come Eugenio (in foto-tessera
perfin, sempre perben, bon-ton, polito),
guardai ciò che guardava, e vidi degna
di laude la beltà segnata a dito:
ella teneva sovra di sé un’insegna
che girando correva tanto ratta,
che d’ogne posa mi parea indegna,
e dietro le venìa sì lunga tratta
di bischeri, ch’i non averei creduto
che su Fiorenza America ne sbatta.
Che comitiva!… E presso era seduto,
chi a Case Passerin volle discarica,
e fece per cittade il Gran Rifiuto. (7)
“Quand’era alla Provenza ancora in carica”,
ricordò Giani, “Andrea neppur fe’ finta
di sostener la Rari, e fe’ lo scarica…
(“…barile”, intendo). Ma, a battaglia vinta,
or solo Sesto si dolrà di lui,
sempre in un’aura pien di tanfo e tinta”.
Allora intesi bene e certo fui
che questa era la sètta rottamata,
a Matt (8) spiacente, e alli nimici sui.
Barducci, e pur la Bindi… una manciata
erano in fondo (infatti, ecco Manciulli).(9)
Quell’altra ghenga invece… riciclata:
da Rossi a Incatasciato (10)…mica grulli!
E poi ch’a riguardare oltre mi diedi,
vidi genti assiepate, pupe e bulli,
vecchi e vecchiette, tutti quanti in piedi ,
in attesa al semàfor, pronti e pronte,
come se viale Gramsci o viale Redi (11)
fusser la triste riviera d’Acheronte.
Traversa il vial chi è più veloce e gaio,
restano al palo i tardi e le più tonte. (12)
Ed ecco ire ver’ noi col fiaccheraio
un bamboccion, dal volto senza un pelo,
gridando: “ Guai a voi! Son io, son Dario. (13)
E il guaio è questo: io! – pieno di zelo.
Traghetto la città dal Renzi al “Boh?”,
son primo cittadino sotto il cielo,
suono il violino, e volli quei “dehors”,
che fanno schifo ai porci – meno ai gonzi.
Ora fo la comparsa. Guarda un po’.
Perché il regista, amico anche di Fonzie (14)
(che è pure amico mio… o mi confondo?…)
gira pur lui l’ ”Inferno”, sotto ai Lanzi,
ci dà una mancia, e – ciò mi fa giocondo –
a me fa far la guida (non la Gloria…): (15)
un ruolo un po’ minor, ma a tutto tondo.
Simbolico. D’altronde, nella storia,
il ruol protagonista era uno, secco,
dato ad un certo…? Hanks! (16) Però accessoria
è questa cosa qua. Perch’io, ci azzecco.
Invece, inver, non so io valutare
che cosa c’entri tu, col naso a becco…
Sì, tu! L’ Inferno, non Vacanze al mare
si gira, sappi, qui… Christian De Sica!” (17)
E ‘l duca a lui: “Darion, non ti crucciare.
Vuolsi così colà. Lo vuol l’ Amica
di Dick Nencini, (18) e più non dir dementi
boiate. (Intendo Oriana, è chiaro: mica
del gossip fo, con donne ancor viventi!)”
Intanto sul viale, a babbo morto,(19)
bestemmiavano Dio e i lor parenti,
e quel semàfor, dal verde troppo corto.
Darion Nardella, con occhi di bambagia,
che scambiar me e De Sica (o cotal torto!)
sul fiacre tolse la torma più malvagia
con bei discorsi, dall’andamento lento:
seriosi, ovvi, scoprendo l’acqua ragia.
Ora il semàfor verde era già spento,
et balenò una luce vermiglia…
Dario parlava, con foga e sentimento,
e io caddi come l’uom cui sonno piglia.

1) L’invito vergato con lo spray dall’anonimo writer sulla porta di Firenze-Inferno, città museo-città ristorante, è stato raccolto dai visitatori ormai da tempo immemorabile: nei mille ristoranti, trattorie, osterie, vinaini, pub, pizzerie che paiono moltiplicarsi nottetempo all’infinito, viene ammannita, e mangiata, davvero “”ogni pietanza””: dalla pizza con le fragole alle “”lasagne alla fiorentina””, dal gelato al gusto di caciotta di Pienza al pane toscano curasau, dal lardo magro (sic!) di Colonnata al ragù di struzzo del Valdarno. Finché dura…
2) La porta dell’Inferno è Porta al Prato, una delle porte medievali sopravvissute all’abbattimento ottocentesco ad opera del Poggi. Situata ad occidente, il suo nome non deriva tuttavia, come credono in molti e come vorrebbero i pratesi, al suo aprirsi in direzione della città laniera, ma al fatto che alle sue “”spalle”” si estenda tutt’ora, sia pure asfaltato e lastricato, lo slargo detto “”del prato””.
3) Graffitari, muralisti e writers hanno da tempo debordato, a Firenze, dalle periferie urbane verso il centro cittadino, istoriando la città di scarabocchi per lo più privi di qualsiasi valore estetico e di qualsiasi portato politico. Ma dirlo pare sia passatista, perbenista e reazionario. Chi se ne frega.
4) I Viali di circonvallazione si estendono sul perimetro delle mura medievali abbattute dal Poggi, di cui sopra. Sono, a tutt’oggi, l’unica arteria di scorrimento della città. Cioè, lo sarebbero, se si scorresse.
5) Certo per il rumore simile al ronzìo, molti ciclomotori portano il nome di un insetto, come la “”Vespa”” della Piaggio o lo “”Scarabeo”” dell’Aprilia. Qui hanno la pungente funzione del contrappasso assegnato da Dante agli ignavi che neppure riescono ad entrare nel cerchio all’interno dei Viali, l’Inferno cittadino vero e proprio.
6) Si intenda: mi fanno pena, perché assaliti da moto simili ad insetti, pur essendo, di fatto, privi di colpe vere e proprie, colpevoli in nulla (“”in nulla rei””).
7) Si allude qui al personaggio di Andrea Barducci (esponente del pd toscano di origini comuniste-diessine), intrecciando due distinti episodi della sua vita politico-amministrativa. Il primo ricorda la decisione assunta, quando era sindaco di Sesto Fiorentino, di accordare la costruzione di una discarica ad uso dell’area metropolitana (“”fare per cittade il Gran Rifiuto””), in località Case Passerini. Decisione di cui nella zona ancora ci si lamenta per “”l’aura pien di tanfo e tinta””. L’altro episodio è più recente, e ricorda come Barducci, da Presidente della Provincia, si fosse uniformato, senza opporvisi, alla decisione, poi peraltro rientrata, di smantellare le strutture della Rari Nantes sulla proda sud dell’Arno. Questo episodio ne motiva la collocazione nell’anti-Inferno.
8) Nomignolo in chiave “”american boy”” che designa familiarmente il premier-segretario Matteo Renzi.
9) La “”manciata”” di rottamati, “”spiacenti a Renzi et ai nemici sui”” include, con Barducci, l’ex presidente del partito, la senese (di Sinalunga) Rosy Bindi, e l’ex segretario regionale Andrea Manciulli.
10) La “”ghenga”” (scherzosa deformazione italiana del termine inglese “”gang””, “”banda”” – non necessariamente criminale) dei diversamente renziani convertiti, o riciclati, comprende non solo il segretario metropolitano Fabio Incatasciato, ma lo stesso, riconfermato, presidente delle Regione Enrico Rossi.
11) Viale Gramsci è, propriamente, il nome di un segmento dei viali di Circonvallazione. Viale Redi è invece l’arteria che unisce l’anello di circonvallazione con le estreme periferie nord-occidentali di Novoli.
12) Effetto perverso dell’infernale brevità del segnale verde (più avanti: “”il verde troppo corto””) per l’attraversamento pedonale dei Viali.
13) Dario Nardella, già vicesindaco e assessore alla Cultura con Renzi sindaco, poi suo successore (traghettatore “”dal Renzi al Boh?””). Provetto violinista di Conservatorio, ha legato il suo nome, ancora durante l’amministrazione Renzi, al varo degli orribili dehors di bar e ristoranti. Poi ha tentato il non facile riscatto, ma è tutta salita.
14) Il regista “”amico di Fonzie”” è Ron Howard, l’antico Rick della serie tv anni ‘70 “”Happy Days””, dove il personaggio più amato era lo spaccone italo-americano dal cuore d’oro e il ciuffo impomatato Arthur Fonzarelli, detto Fonzie (Hey!). Howard, la scorsa primavera, ha girato a Firenze (“”sotto i Lanzi””: la loggia di piazza della Signoria) svariate scene del film “”Inferno””, tratto dall’omonimo papocchione best-seller di Dan Brown. In cambio ha elargito al Comune una nemmeno troppo cospicua “”mancia”” ed ha ingaggiato lo stesso sindaco Nardella in un piccolo, ma “”simbolico”” ruolo, di guida turistica. Qui, Nardella, si dice anch’egli “”amico di Fonzie””, ma teme di “”confondersi”” con lo stesso Renzi, soprannominato “”Renzie”” dopo la pubblicazione su un rotocalco popolare di una sorta di imbarazzante imitazione, con tanto di giubbotto di pelle nera, del sullodato personaggio della serie tv.
15) Gioco di parole, a suo modo emblematico, col nome dell’attrice Gloria Guida. Nardella, invece, sarà una guida…senza gloria.
16) Tom Hanks. Pluri-oscarato attore americano (“”Forrest Gump””, “”Apollo 13””, “”Philadelphia””, e cento altri). Tornato in America dal set fiorentino, ha giustamente sputtanato la città che lo aveva ospitato, per tre citti, esibendo al David Letterman Show, come tipico souvenir gigliato, un’asticella per i “”selfie””, di quelle spacciate nelle piazze cittadine da nugoli di abusivi extracomunitari. Thanks, Hanks.
17) Clamorosa gaffe di Nardella, che scambia “”quello col naso a becco””, Dante, per il non meno nasuto (ma, come dicono a Livorno: “”ci corre ‘na cea””) Christian De Sica, interprete di tanti ahinoi fortunati film vacanzieri, cinepanettoni e cineimmondizia varia.
18) Fra i pochi amici della sinistra politica (moderata, eh…) rimastile fedeli dopo la virulenta esplosione anti-islamica de “”La rabbia e l’orgoglio””, Oriana Fallaci (che nel Canto II abbiamo visto essere la mandante, via seduta spiritica, del nuovo Virgilio Eugenio Giani) ebbe il socialista mugellano Riccardo Nencini, già Presidente del Consiglio Regionale, oggi sottosegretario nel governo Renzi.
19) “”A babbo morto””: proverbiale espressione nata dalla promessa di certi eredi spendaccioni di saldare i debiti dopo aver intascato l’eredità paterna, “”a babbo morto””, appunto. Divenuta sinonimo di dispendio e dissipazione, può essere usata, come in questo caso, nel senso di “”senza freni, senza misura””.

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Alberto Severi – Divina Commedia (Dante ci scusi)

Divina Commedia

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Dante Alighieri
Scusi
Lo giorno se n’andava, e l’aeroporto
toglieva i passegger ch’erano a terra,
dalle code al check-in. Piccino e storto
*
mi parve “per le bambole” (1): rinserra,
fra l’autostrada, messa perpendicola,
e lo Morello Monte (e lì ci atterra
*
a stento un deltaplano, o teste a bietola!),
giusto una pista: corta come un peto…
“Che vuoi, gli è l’aeroporto di Peretola!”
*
Così parlommi Eugenio, et il divieto
di sosta in piattaforma non curava,
sul 29 che, sanza fretta o impèto,
*
verso Fiorenza assiem ci trasportava.
E col “Vespucci” visto al finestrino,
nuòvo infernal viaggio i’ cominciava…
*
Stavolta non Maestro, ma maestrino
guidava me, dai modi lindi e sani,
non Duce ma ducetto (sinistrino
*
però, sia chiar!): l’ubiquo Eugenio Giani.
Esperto un po’ di tutto, anche di Dante,
intanto disquisiva d’aeroplani.
*
“Bisogna far la pista più abbondante.
Fiorenza non ha inver cose più urgenti.
Lo so che a Sesto e a Prato è ridondante
*
e invisa al…. Vituperio delle genti,(2)
ma Eurnerkian (3) vuol la pista per Natale,
o tusci di provincia ognor scontenti!
*
E se non parallela: diagonale,
secante, sinusoide, a zig-zagate,
tangente (ma nel senso non penale…) (4)
*
O musi lunghi, o gufi, or rosicate! (5)
E te, Dante, ‘un fa’ l bischero, sorridi.
Qui si parrà la tua nobilitate.”
*
“Perché?? Ch’ agg’ io da fare in questi lidi?”
Subito m’allarmò cotal manfrina,
siccome in vita mea sempre m’avvidi
*
che quando alcuno spalma vaselina
e fa: “nobilitate!”, oppur: “sei grande!”
finisce che ti metti a pecorina,
*
calando pur tu stesso le mutande.
“Non vorrai mica dire, cazzarola,
che pure questa volta, in queste lande,
*
ai giovini italian che in uggia han scuola
io debba strologare una Commedia
da digerire con la coca-cola!?”
*
Eugenio fece un balzo sulla sedia
del bus dov’era assiso traballante.
“Ma degg’io legger tibi Wikipedia?
*
O nini, ‘un tu se’ Moccia: tu se’ Dante! (6)
E ‘ son venuto apposta a te cercare,
per farti in questo Inferno da badante,
*
perché tu scriva il diario del tuo andare,
chè poi sopra il Corrier, nel mese pazzo
d’agosto, ardisca Ermini il pubblicare. (7)
*
E’ ovvio che dovevi farti il mazzo!”
“Vai! c’era, lo sapéo, la fregatura!
Poi dice sembra sempre che m’incazzo
*
in ogni statua mia, ‘n ogne pittura! (8)
A questo punto ancor di più mi piglia
di entrar costì in Fiorenza la paura!”
*
“Codesta strizza, credi, è solo figlia
del non sapere: in somma, di ignoranza”,
mi rincuorò, volgendo a me le ciglia.
“Pur’io ignorante fui, che dalla stanza
dello liceo cacciàronmi per mesi.
Eh, già! Monello, e pieno di insolenza,
*
io era tra color che son sospesi. (9)
Se adesso ne so più d’ Umberto Eco (10)
è stato per la briga che mi presi*di fare alle serali algebra e greco.”
“Bravo! Però anco tu una bocciatura
l’hai presa di recente”, osservai, bieco.
*
“Volevi fare il sindaco, è sicura
l’indiscrezione, dài, lo sa anche il gatto,
Renzi t’illuse, e poi non se ne cura…
*
E lì ci va Nardella, quatto quatto”.
Eugenio vacillò, ma strinse il dente.
“Gli è vero, ci tenevo come un matto.
*
Tu vedi che di Silvio il carente
livel dei candidati (e i nomi ‘un fo)
di vincer quella posta ci consente,
*
da sempre, anche se candidi Pio Pò. (11)
Domenici, per dir, lo fe’ dieci anni
il sindaco. Anzi… che non lo so?
*
Lo fece il Cioni, inver, con tanti danni,
e i dossi spacca-coppa, pel pedone… (12)
In sala di Clemente (13), nei suoi panni,
*
andovvi poi lo Ras: d’elezïone
primaria opposto – Renzi – a Gianni Galli,
l’emerito dei viola portierone. (14)
*
Però pisano, e dunque: dalli dalli!
Io non Leonardo, non Matteo io sono,
però poteo ballare anch’io quei balli.
*
Ti pare? Che non ero forse bòno?”
“Che dici!? Avei da avere un nulla osta.
Non ce l’ha’ avuto, pace”, dissi a tono.
*
“Massì, pazienza”, fe’, con faccia tosta.
E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per nòvi pensier cangia proposta,
*
disse: “Chi se ne frega di quel Colle!”
(perché Palazzo Vecchio è un po’ rialzato,
forse per dominar meglio le folle…
*
ma “Colle”, francamente, è esagerato.)
“Comunque, ritornando alle tue chèche,
ti spiego perché se’ un raccomandato.
*
E dunque ‘un devi far tragedie greche.”
Spiegommi: “Fra le mille e mille cose
che fo – convegni, mostre e mosche cieche,
*
e gemellaggi all’orto delle rose (15) –
son pure uno provetto spiritista,
chiappafantasmi, e medium monodose.
*
Orbene, l’altro ieri metto in pista
una seduta, come il Mortadella
fe’ quando Moro prese il Brigatista, (16)
*
e donna io evocai, superba e bella,
tal che di comandare io la richiesi.
“Quella Puccini, no! Peggio che Stella!”
*
Così gemea, e, d’acchito, non l’intesi.
Ma poi capii: la fiction su sua storia
le avea nell’oltretomba i sensi offesi.
*
Stella è Martina, Puccini è Vittoria:
attrici fiorentine. E la seconda,
con presunzione e fuffa mista a boria,
*
fe’ la Fallaci nella messa in onda. (17)
“O anima cortese ma toscana”,
sfogatasi, riprese più profonda,
*
“lasciamo stare ormai quell’empia trama,
quel suo di me pietoso blaterare.
Lo so che mia Fiorenza più non m’ama,
*
ma a trarla fuor d’Inferno vo’ provare.
C’è Dante a giro, il suo fantasma trova.
I’ son l’Oriana che ti faccio andare,
*
e per far la frittata, rompi l’òva.
Ei deve in quel bordello fare un giro,
anzi un girone o due. O di più. Prova!
*
Poi scriver tutto, e metter sotto tiro
peccati e peccatori, il vizio e il dòlo.
In fondo, è un de’ pochissimi che ammiro
*
esser di me più bravo, forse il solo”.
Finì il racconto Giani, e scese giue,
dal bus, e col suo dir mi rese il volo.
*
“Or sì, che un sol volere è d’ambedue!
Tu duca, tu segnore, e … oggiù: maestro”.
Sì l’adulai, e poi che mosso fue,*cascai dal bus con lui, goffo e maldestro”.

Note

1) L’aeroporto “”Amerigo Vespucci””, o “”di Peretola””, come lo hanno sempre chiamato i fiorentini dal nome della località in cui si trova, è un piccolo “”city-airport”” ad un tiro di schioppo dal centro cittadino. I pisani, titolari di un aeroporto internazionale (il “”Galileo Galilei””) lo hanno sempre irriso. Memorabile, in occasione di un derby calcistico fra le squadre delle due città, il beffardo striscione issato dai tifosi nerazzurri: “”Vu’ cciavete l’aeroporto delle Barbie””.
2) Per Dante, giusta l’invettiva della Divina Commedia, è sinonimo di “”Pisa””. Per i livornesi il sinonimo è un altro, di smaccata evidenza scatologica . Giani allude qui alla contrarietà di Prato e Sesto fiorentino al previsto ampliamento dell’aeroporto di Firenze, per il timore che la nuova progettata pista “”lunga””, orientata parallelamente all’autostrada A11, comporti disagi e pericoli per gli abitanti dei loro territori. La contrarietà di Pisa deriva invece dal timore che il “”Vespucci””, ampliato, sottragga passeggeri e risorse al “Galilei”. Non solo “”bambole”” (Barbie).
3) Nome qui del dèmone, originario della tradizione argentina, divenuto proprietario unico degli aeroporti di Pisa e Firenze.
4) Sull’orientamento della nuova pista del “”Vespucci”” le idee sono sempre state assai confuse, a dispetto dell’ovvietà, e inevitabilità, dell’opzione “”parallela””. Poi dice l’esprit de géométrie.
5) Qui Giani, da buon renziano, utilizza per stigmatizzare i veri o presunti avversari i coloriti epiteti coniati dal Capo (o meglio, da lui abilmente attinti dal gergo giovanile-giovanilista). “”Musi lunghi”” sono gli eterni pessismisti restii ad ogni cambiamento. “”Gufi”” sono gli jettatori profeti di disgrazie, che sempre si augurano di evocare con le loro stesse parole esiti fallimentari per le azioni dell’avversario. “”Rosiconi”” sono gli invidiosi dei successi altrui. Il mix di tutte e tre le categorie può anche essere definito, con buona approssimazione: “”Susanna Camusso””.
6) “”Tibi””: latinismo per “”a te””. Wikipedia: popolare enciclopedia on line, non esserci equivale e non esistere, c’è pure la voce: “”Dudù, barboncino della Pascale””. Moccia è Federico Moccia, romanziere (“”Tre metri sopra il cielo””). Stessa caratura di Dudù. Su Wikipedia, ovviamente, c’è.
7) Paolo Ermini, direttore del “”Corriere Fiorentino”” e istigatore della presente parodia dantesca. Non so se su Wikipedia c’è.
8) E’ noto che non esiste sulla faccia della terra un ritratto scolpito o dipinto del Poeta che non lo restituisca all’aspetto fieramente incazzato.
9) La “”sospensione”” scolastica, per motivi disciplinari, un tempo frequente, pare venga oggi comminata in casi straordinari, e di fatto solo per strage, genocidio, procurata catastrofe planetaria.
10) Coltissimo intellettuale torinese, narratore e saggista, autore di svariati best-seller, di cui solo uno leggibile: “”Il nome della rosa””.
11) Buffo nome-cognome di invenzione popolaresca, per designare un signor nessuno, uno qualunque, una nullità. Pare sia il velenoso soprannome affibbiato da Renzi a Stefano Fassina.
12) Leonardo Domenici, sindaco diessino di Firenze dal 1999 al 2009. Graziano Cioni, assessore e uomo forte della giunta, poi vicesindaco, detto “”lo sceriffo””: secondo i più, fu lui a gestire di fatto l’amministrazione della città, mentre Domenici si riservava un profilo di alta rappresentanza, anche a livello nazionale e internazionale. I dossi artificiali in corrispondenza degli attraversamenti pedonali, atti a far diminuire la velocità dei veicoli, sono il suo lascito perenne alla città, e una perenne insidia a semiassi e coppe dell’olio (“”spacca-coppa””).
13) La sala di Clemente VII, in Palazzo Vecchio, è, tradizionalmente, l’ufficio del sindaco di Firenze, sebbene di recente sia stata temporaneamente abbandonata in favore di una sistemazione più low-profile.
14) Qui Giani chiama scherzosamente (?) “”ras”” , con termine mutuato dall’aristocrazia etiope e utilizzato in seguito per designare il capo di un’organizzazione a struttura gerarchica autoritaria, il suo leader di partito Matteo Renzi. Rammentandone l’elezione “”primaria”” (cioè attraverso le primarie di partito) a sfidante (poi vittorioso) del candidato sindaco del centrodestra Giovanni Galli, ex portiere della Fiorentina poi passato al Milan, di origini pisane. Quando si dice che uno vuol perdere facile… Rispetto a G.G., Pacciani avrebbe avuto più chances.
15) Si allude qui al giardino delle rose situato sotto piazzale Michelangelo, una porzione del quale è sistemato a giardino zen in collaborazione con la città di Kyoto, gemellata con Firenze dal 1964.
16) Si intenda: come Romano Prodi (soprannominato dagli avversari “”il Mortadella””) fece quando il Brigatista (i terroristi delle Brigate Rosse) prese, cioè rapì Aldo Moro. Allusione all’oscuro episodio della seduta spiritica ordita da alcuni esponenti democristiani durante il sequestro dello statista poi ucciso dalle Br, nel 1978. La seduta, che vide Prodi fra i partecipanti, doveva servire ad assumere elementi per rintracciare la prigione dove Moro era tenuto sotto sequestro. E sorprendentemente li dette, pare (“”Gràdoli””, inteso come via Gràdoli, a Roma), ma vennero curiosamente (?) equivocati (Gràdoli, paesino della Tuscia romana).
17) Il fantasma evocato di Oriana Fallaci, grande giornalista e scrittrice di origini fiorentine, mostra di non aver gradito l’interpretazione del suo personaggio fornita dalla concittadina Vittoria Puccini nella recente fiction di raiuno “”L’Oriana””. Ettecrédo. Ma checché ne dica O.F., forse Martina Stella sarebbe riuscita a fare di peggio. Ne ha tutte le capacità.

La Divina Commedia ( MI SCUSI) Dante Alighieri

La Divina Commedia
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Dante Alighieri
Mi scusi
Nel mezzo del viaggio colla Sita (1),

mi ritrovai bloccato all’Osmannoro (2),
che la diritta via era smarrita.
*
Ahi, quanto a dir “malfatta” quasi ignoro
esta rotonda, detta “alla francese”,
che gira gira stimola il piloro (3)
*
e all’autista del bus che lì s’intese
passar, dette la nausea et il palletico. (4)
S’aggiunga poi da lustri, non da un mese,
*
(causa lavoro invero non frenetico),
l’etterno di tramvia maxi-cantiere,
e intender si potrìa l’effetto e(r)metico. (5)
*
Volea la mia Fiorenza rivedere,
bissando il tour ch’io mossi in Oltretomba,
(e che a i’ Benigni paga il lesso e il bere),(6)
*
all’incontrario, però, tornando a bomba
dall’aldilà al mio bel san Giovanni. (7)
Ma non sapea che stuol di teste a tromba,
*
nel mentre, avean prodotto tanti danni,
da far di mia Fiorenza, dall’interno,
un gran bordello, un rio sito d’affanni,
*
fra Disneyland et Sòdoma: un Inferno.
Io non so ben ridir com’io vi entrai:
dal “divorato” bus scesi all’esterno
*
ché la “vorace” via abbandonai. (8)
Poscia che del cantiere trovai lo passo,
(sicur, come il Berlusca certo assai
*
fu che Brunetta sempre era ‘l più basso) (9)
ripresi via per le Piagge (10) diserta.
Ma… (scrivo “lonza”: il parlar turpe casso…)
*
…accade che una…”lonza” si diverta. (11)
Griffata da Cavalli (12), leopardata,
(ché di pel macolato era coverta),
*
m’arròta un pie’, giaguara sciagurata,
guidando un Suv, e, deh! quasi m’ammazza.
Ma o vigili, o icché fate? E‘ va “smacchiata”! (13)
Questa m’ asfalta! E in più, pure s’incazza.
Ingenuo! I‘ non sapea che sol si apposta,
di urbani, qui in Fiorenza, quella razza,
*
dentr’ un ufficio. Oppur multa la sosta
(in una zona blu fatta a capocchia)
al contumace, che men fatica costa:
*
basta un foglietto rosa, e tanta spocchia.
E in somma: dalla fèra in panta-pelle,
(la …“lonza”) trovai scampo. Ma mi adocchia,
*
prima ch’io possa riveder le stelle,
una Torpedo, anzi: un Torpedone. (14)
Un mostro alto due piani, che alle belle
*
vestigia di Fiorenza, in escursione,
porta il di foto maniacale ingordo,
anzi ne porta orde, a profusione.
*
Suona la tromba, e quasi mi fa sordo.
Mi faccio in là. Cerco fuggir la fame
di “selfie”, (15) che a me, Dante, per ricordo
*
di certo vorrian fare quelle dame
e i cavalier venuti dal Giappone.
Ma una Talpona, che di tutte brame
*
di Nodavìa , (16) grandiosa, è in dotazione,
ecco s’avventa giù, ai no-Tav invisa,
a scavar tunnel sotto il Cupolone.
*
La chiaman, meleggiando, “Monna Lisa”,
ma è brutta come il Monni, (17) a lui sia pace.
Almeno lo facesse sotto a Pisa,
*
lo scavo (ahi, vituperio!) sì rapace!
Che Talpa! Trivellava a tutto fòco,
oscena come un tanga di Versace.
*
E mentr’io rovinava in basso loco,
dentro all’orecchie mie mi si fu offerto
chi per lungo ciarlare parea fioco.
*
Quando lo vidi, in scheda capolista,
“Miserere di me”, gridai a lui,
che tu sia òmo, bestia o socialista!”.
“Non socialista – ” fe’ ,“socialista fui.
Non fui con Berluscon, né coi Lumbardi:
scelsi i Diesse, e Renzi poi: ambedui.
*
Nacqui sub Craxi, ancor che fosse tardi,
ma crebbi in Tuscia sotto Valdo il buono (18),
nel tempo de li schei falsi e bugiardi. (19)
*
Li schei, i vaini, i dindi dal bel suono,
ch’io mai bramai, ché basta a me la gloria
di fare il Giani, ed esser come un tuono
*
che dolce segua il lampo, sanza boria,
per star sopra uno scranno qui a Firenze:
uno qualsiasi, a strologar la Storia,
*
cogliendo baci e pacche – e preferenze.
Son anco Presidente dei Dantisti,
ti studio, adunque, e ‘un bado alle scemenze.
*
Ma pure son boy-scout, fan dei rugbisti,
massone, ebreo, goliardo e focolare,
mi tuffo in Arno il primo, non c’è cristi,
*
se a capodanno me lo fanno fare. (20)
Presiedo nel Palazzo (21), curo mostre,
son pope, e cappellano militare.
*
Son membro delli amici delle giostre.
Aiuto-imam, prefàtor di volume,
custode delle tradizioni nostre.
*
Fu allor che nella mente accesi il lume.
“Or se’ tu quell’Eugenio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?”,
*
rispuos’io lui con vergognosa fronte.
“Son desso”, fece il Giani, “e vo’ capire
perché non sali il difettoso monte”.
*
“Gli è troppo difettoso da salire!
E’ terra del Talpone in cui mi involsi”,
fec’io. “Dentr’a Fiorenza, il vero a dire,
*
la brama di tornare… un po’ mi tolsi.
Sollèvami da ciò, o ubiquo saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi”.
*
“A te convien tenere altro viaggio”,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
“se vuo’ scampar a Campi, ch’è selvaggio.
*
Tieni un biglietto orario, ora si ride:
si piglia il 29 qui davanti.
Prima o poi passa, s’entra e ci s’asside
*
fra pensionati, vu’cumprà e badanti,
si va in Fiorenza, lenti, ma s’arriva,
son tutti “portoghesi” non paganti.
*
Allor vedrai l’Inferno in altra riva:
non d’Acheronte, ma dell’Arn’ oscuro:
stracca Fiorenza, lei che pur fu diva”.
*
“Un altro Inferno! Altro viaggio duro”,
diss’io. “Che palle, Eugenio. E pure pago.
Ci batto sempre il muso in questo muro,
*
l’anno seguente fisso con Trivago!” (22)
Lo duca mio sorrise, a labbra mute.
Poi disse: “Tu vedrai: sono un po’ mago.
*
Non è città che scoppi di salute,
qui vi morì, dopata a camomilla,
l’Arte di turno, e il Monni di bevute.
*
Ma pur nel fango a volte un sasso brilla
ed è un diamante!” “O l’è un coccio di vetro!”
diss’io, che ancor l’esilio un po’ mi spilla. (23)
*
E lui: “Madonna mia, come sei tetro!
Ma ecco il 29, finalmente!”
Salì sul busse, ed io li tenni dietro.

Note

1) Vai, si comincia subito con le dolenti note. Potendo, io ne farei anche a meno. Ma che Dante sarebbe, senza note? E dunque… “”Sita””: nome di una ditta di trasporto pubblico extraurbano dai caratteristici mezzi bianchi e blu, e l’odore degli interni da molti sofferto come causa-effetto di perturbazioni gastriche lungo i percorsi collinari e montani più tortuosi. Esso viene qui impiegato, giusta la consuetudine popolare, come eponimo del singolo autobus.
2) Plaga desolata della piana fiorentina, fra le località di Peretola, Brozzi e Campi (più avanti citate), territorio “”selvaggio”” ove leggendariamente alligna “”la peggio (in versione indigena: “”la meglio””) genìa che Cristo stampi””.
3) Sfintere situato fra lo stomaco e il duodeno. Dante, con la figura retorica della sinèddoche, lo associa qui alle contrazioni addominali che, per sollecitazioni per lo più accidentali e involontarie (radiodiffusione di canzoni di Gigi D’Alessio, notizie di compravendita di parlamentari), possono provocare conati di vomito, come è appunto qui il caso.
4)Termine popolaresco per indicare il tremore indotto da patologie per lo più senili, ma anche da sovreccitazione nervosa, ansia, smarrimento. (“”Ma che tu cciai, i’palletico?””).
5) Si segnalano qui, senza aderire in via preferenziale all’una o all’altra tesi, entrambe le lezioni vigenti: l’effetto sull’autista della Sita prodotto dalla rotonda alla francese complicata dal maxi-cantiere della tramvia, può essere indifferentemente considerato «ermetico», in quanto chiude o limita l’accesso alla città, ma anche “”emetico””, in quanto provoca nausea e antiperistalsi.
6) Dante lancia qui una sapida frecciata al comico toscano, ormai da anni spompato, e votato per lo più alla Lectura pubblica della Divina Commedia, intascando lauti compensi atti ad assicurargli ampi mezzi di sostentamento: qui ironicamente minimizzati (“”il lesso e il bere””).
7) È, naturalmente, il Battistero di Firenze, qui indicato, per sinèddoche, come sinonimo della città.
8) Per metafora, come è consueto nei poeti e nei politici a corto di idee, Dante definisce qui “”vorace”” la via attorno al cantiere, che dunque ha come inghiottito nell’ingorgo, e “”divorato””, la Sita che lo trasportava a Firenze.
9) Si intenda: dopo che trovai il passaggio (il “”passo””) per uscire dal cantiere, sentendomi “”sicuro”” come fu sempre «certo» Silvio Berlusconi che Renato Brunetta fosse “”il più basso”” (sia in senso assoluto, erga omnes, sia in senso relativo rispetto allo stesso, pur non longilineo, Berlusconi).
10) Quartiere periferico di Firenze, non lontano dall’Osmannoro, ma più vicino a Don Santoro (prete di frontiera impegnato in una pastorale con forti connotati socio-politici).
11) Semi-censura da parte di Dante dell’epiteto spregiativo, di cui mantiene tuttavia l’eloquente rima in –onza. Insomma, “”De Vulgari Eloquentia””, va bene, ma senza esagerare col “”Vulgari””.
12) Si allude qui a Roberto Cavalli, stilista fiorentino iper-lampadato caratterizzato da un uso insistito di motivi leopardati e tigrati, con paradossale effetto tamarro-chic, nei suoi tessuti. Molto gettonati da altrettanto iper-lampadate autiste di Suv, meglio se Porsche Cayenne di colore nero parcheggiati abusivamente in piazza Strozzi nello spazio invalidi più vicino al Colle Bereto.
13) La punizione-umiliazione della “”giaguara”” in termini di smacchiatura, allude all’infelice battuta dell’ex segretario pd Pierluigi Bersani, coniata adeguando alla progettata, e poi sostanzialmente inattuata, sconfitta del “”giaguaro”” Berlusconi una simpatica allegoria a base zoomorfa (“”Siamo mica qui a smacchiare i giaguari, neh…””).
14) Il Torpedone-Torpedo (o torpedine), mastodontico bus turistico, è dunque la seconda “”belva””, dopo la Lonza, e prima della Talpa Tav, che si oppone all’accesso di Dante nell’Inferno fiorentino.
15) Un tempo detto “”autoscatto””, ed esposto a macchinose preparazioni di esito incerto e periglioso, il “”selfie”” col cellulare, autoritratto effettuato preferibilmente in contesto turistico, con fidanzata/o, gruppo di amici, o con celebrità abbordata per strada, o con qualunque altra boiata sulla sfondo, divenne, lungo il secondo decennio del XXI secolo, un’autentica mania collettiva e una pratica narcisistica ai limiti dell’autoerotismo.
16) Consorzio di cooperative titolari dell’appalto di Rete Ferroviaria Italiana per l’escavazione del tunnel per l’alta velocità sotto il cosiddetto “”nodo fiorentino””, progetto al momento fermo, gravato da inchieste della magistratura, e, forse, oggetto di ennesimo ripensamento. L’escavazione della galleria andrebbe effettuata con un’enorme trivella meccanica, familiarmente appellata “”la Talpa””, o, più leggiadramente , “”Monna Lisa””.
17) Gioco di parole fra il nome “”Monna”” e il cognome del ruspante attore fiorentino Carlo Monni, sodale del primo Benigni “”proletario””, molto amato in città, e recentemente, prematuramente scomparso. In effetti, bellino ‘unn’era, ma ganzo sì.
18) Il nuovo Virgilio è dunque per Dante Eugenio Giani detto Prezzemolino, attuale Presidente del Consiglio Regionale, politico fiorentino di lungo corso, di ubiqua frequentazione nella società civile cittadina, campione di preferenze, appassionato di storia e di tradizioni locali, titolare di innumerevoli cariche pubbliche e associative. Oggi pd di stretta osservanza renziana, ma nato politicamente nella sinistra socialista di Valdo Spini (qui detto “”il Buono””, in antitesi al “”cattivo”” Bettino Craxi), si propone credibilmente, in quanto coordinatore dei festeggiamenti per il 750esimo dantesco, addirittura come guida del Poeta nell’infernale aldiquà.
19) Li “”schei falsi e bugiardi”” (“”falsi”” moralmente, tecnicamente erano autenticissimi) identificano chiaramente, nella metafora dantesca, l’era corrotta e corrusca di Tangentopoli. Acqua passata, si capisce.
20) Allusione al tradizionale tuffo di Capodanno dei Canottieri, al quale Giani da anni partecipa regolarmente, purché fotografato e ripreso dalle tv locali.
21) Il palazzo è naturalmente Palazzo Panciatichi: sede, a Firenze, del Consiglio Regionale Toscano.
22) Celebre agenzia di viaggi on line.
23) “”Mi spilla””, cioè mi punge, mi sta come una spina nel fianco. Dante ammette che la faccenda dell’esilio non l’ha ancora mandata giù, dopo sette secoli e passa. Ma come dargli torto?

Alberto Severi

Giornalista