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Primo Levi – Pensieri

Primo Levi
Pensieri

Dobbiamo far sentire più forte il mormorio che sale dal basso, anche nei paesi in cui è vietato mormorare. È un mormorio che scaturisce non solo dalla paura, ma anche dal senso di colpa di una generazione. Dobbiamo am¬plificarlo. Dobbiamo suggerire, proporre, imporre poche idee chiare e semplici agli uomini che ci guidano, e sono idee che ogni buon mercante conosce: che l’accordo è l’affare migliore, e che a lungo termine la buona fede reciproca è la più sottile delle astuzie.

Primo Levi – Le pratiche inevase

Primo Levi
Le pratiche inevase

Signore, a fare data dal mese prossimo
Voglia accettare le mie dimissioni
E provvedere, se crede, a sostituirmi.
Lascio molto lavoro non compiuto,
Sia per ignavia, sia per difficoltà obiettive.
Dovevo dire qualcosa a qualcuno,
Ma non so più che cosa e a chi: l’ho scordato.
Dovevo anche dare qualcosa,
Una parola saggia, un dono, un bacio;
Ho rimandato da un giorno all’altro.
Mi scusi, Provvederò nel poco tempo che resta.
Ho trascurato, temo, clienti di riguardo.
Dovevo visitare
Città lontane, isole, terre deserte;
Le dovrà depennare dal programma
O affidarle alle cure del successore.
Dovevo piantare alberi e non l’ho fatto;
Costruirmi una casa,
Forse non bella, ma conforme a un disegno.
Principalmente, avevo in animo un libro
Meraviglioso, caro signore,
Che avrebbe rivelato molti segreti,
Alleviato dolori e paure,
Sciolto dubbi, donato a molta gente
Il beneficio del pianto e del riso.
Ne troverà la traccia nel mio cassetto,
In fondo, tra le pratiche inevase;
Non ho avuto tempo per svolgerla E’ peccato
Sarebbe stata un’opera fondamentale

Primo Levi – Huayna Capac

Primo Levi
Huayna Capac
Huayna Capac, imperatore Inca, morì nel 1527,
po­co dopo il primo sbarco di Francisco Pizarro a
Tumbes. Si dice che un suo messo abbia cenato a
bordo della nave spagnola, e che Huayna Capac,
or­mai morente, abbia avuto notizia dell’arrivo degli
stranieri.
Guai a te, messaggero, se menti al tuo vecchio sovrano.
Non esistono barche come quelle che tu descrivi,
Più grandi della mia reggia, sospinte dalla tempesta.
Non esistono questi draghi di cui tu deliri,
Corazzati di bronzo, folgoranti, dai piedi d’argento.
I tuoi guerrieri barbuti non ci sono. Sono fantasmi.
Li ha finti la tua mente, nella veglia o nel sonno,
O forse li ha mandati per ingannarti un dio:
Questo avviene sovente nei tempi calamitosi
Quando le antiche certezze perdono i loro contorni,
Si negano le virtù, la fede si discolora.
La peste rossa non viene da loro: c’era già prima,
Non è un portento, non è un presagio nefasto.
Non ti voglio ascoltare. Raduna i tuoi servi e parti,
Discendi per la valle, accorri sulla pianura;
Interponi il tuo scettro tra i fratellastri nemici
Figli del mio vigore, Huascar ed Atahualpa.
Fa’ che cessi la guerra di che s’insanguina il regno,
Così che lo straniero astuto non se ne valga.
Oro, ti ha chiesto? Daglielo: cento some d’oro,
Mille. Se l’odio ha sconnesso questo impero del Sole,
L’oro inietterà l’odio nell’altra metà del mondo,
Là dove l’intruso tiene in culla i suoi mostri.
Donagli l’oro dell’Inca: sarà il più felice dei doni.
8 dicembre 1978

Primo Levi – Congedo

Primo Levi

Congedo

Si è fatto tardi, cari;
Così non accetterò da voi pane né vino
Ma soltanto qualche ora di silenzio,
I racconti di Pietro il pescatore,
Il profumo muschiato di questo lago,
L’odore antico dei sarmenti bruciati,
Lo squittire pettegolo dei gabbiani,
L’oro gratis dei licheni sui coppi,
E un letto, per dormirci solo.
In cambio, vi lascerò versi nebbich come questi,
Fatti per essere letti da cinque o sette lettori:
Poi andremo, ciascuno dietro alla sua cura,
Poiché, come dicevo, si è fatto tardi.

Anguillara, 28 dicembre 1974
kr

Primo Levi – Autobiografia

Primo Levi

Autobiografia

Un tempo io fui già fanciullo e fanciulla, arbusto,
pesce che salta fuori dal mare"
(da un frammento di Empedocle)

Sono vecchio come il mondo, io che vi parlo.
Nel buio degli inizi
Ho brulicato per le fosse cieche del mare,
Cieco io stesso: ma già desideravo la luce
Quando ancora giacevo nella putredine del fondo.
Ho ingurgitato il sale per mille minime gole;
Fui pesce, pronto e viscido. Ho eluso agguati,
Ho mostrato ai miei nati i tramiti sghembi del granchio.
Alto più di una torre, ho fatto oltraggio al cielo,
All’urto del mio passo tremavano le montagne
E la mia mole bruta ostruiva le valli:
Le rocce del vostro tempo recano ancora
Il sigillo incredibile delle mie scaglie.
Ho cantato alla luna il liquido canto del rospo,
E la mia fame paziente ha traforato il legno.
Cervo impetuoso e timido
Ho corso boschi oggi cenere, lieto della mia forza.
Fui cicala ubriaca, tarantola astuta e orrenda,
E salamandra e scorpione ed unicorno ed aspide.
Ho sofferto la frusta
E caldi e geli e la disperazione del giogo,
La vertigine muta dell’asino alla mola.
Sono stato fanciulla, esitante alla danza;
Geometra, ho investigato il segreto del cerchio
E le vie dubbie delle nubi e dei venti:
Ho conosciuto il pianto e il riso e molte veneri.
Perciò non irridetemi, uomini d’Agrigento,
Se questo vecchio corpo è irriso di strani segni

Primo Levi – Annunciazione

Primo Levi

Annunciazione
Non sgomentarti, donna, della mia forma selvaggia:
Vengo di molto lontano, in volo precipitoso;
Forse i turbini m’hanno scompigliato le piume.
Sono un angelo, sì, non un uccello da preda;
Un angelo, ma non quello delle vostre pitture,
Disceso in altro tempo a promettere un altro Signore.
Vengo a portarti novella, ma aspetta, che mi si plachi
L’ansimare del petto, il ribrezzo del vuoto e del buio.
Dorme dentro di te chi reciderà molti sonni;
È ancora informe, ma presto ne vezzeggerai le membra.
Avrà virtù di parola ed occhi di fascinatore,
Predicherà l’abominio, sarà creduto da tutti.
Lo seguiranno a schiere baciando le sue orme,
Giubilanti e feroci, cantando e sanguinando.
Porterà la menzogna nei più lontani confini,
Evangelizzerà con la bestemmia e la forca.
Dominerà nel terrore, sospetterà veleni
Nell’acqua delle sorgenti, nell’aria degli altipiani,
Vedrà l’insidia negli occhi chiari dei nuovi nati.
Morrà non sazio di strage, lasciando semenza d’odio.
È questo il germe che cresce di te. Rallegrati, donna.
22 giugno 1979

Primo Levi – Cercavo te nelle stelle

Primo Levi

Cercavo te nelle stelle

Quando le interrogavo bambino.
Ho chiesto di te alle montagne,
Ma non mi diedero che poche volte
Solitudine e breve pace.
Perché mancavi, nelle lunghe sere
Meditai la bestemmia insensata
Che il mondo era uno sbaglio di Dio,
Io uno sbaglio nel mondo.
E quando, davanti alla morte,
Ho gridato di no da ogni fibra,
Che non avevo ancora finito,
Che troppo ancora dovevo fare,
Era perché mi stavi davanti,
Tu con me accanto, come oggi avviene,
Un uomo una donna sotto il sole.
Sono tornato perché c’eri tu.

Primo Levi – Voci

Primo Levi
Voci
Voci mute da sempre, o da ieri, o spente appena;
Se tu tendi l’orecchio ancora ne cogli l’eco.
Voci rauche di chi non sa più parlare,
Voci che parlano e non sanno più dire,
Voci che credono di dire,
Voci che dicono e non si fanno intendere:
Cori e cimbali per contrabbandare
Un senso nel messaggio che non ha senso,
Puro brusio per simulare
Che il silenzio non sia silenzio.
A vous parie, compaings de galle:
Dico per voi, compagni di baldoria
Ubriacati come me di parole,
Parole-spada e parole-veleno,
Parole-chiave e grimaldello,
Parole-sale, maschera e nepente.
Il luogo dove andiamo è silenzioso
O sordo. È il limbo dei soli e dei sordi.
L’ultima tappa devi correrla sordo,
L’ultima tappa devi correrla solo.

Primo Levi – Arrancano i carriaggi verso valle,

Primo Levi
Arrancano i carriaggi verso valle,

Ristagna il fumo degli sterpi, glauco ed amaro,
Un’ape, l’ultima, scandaglia invano i colchici;
Lente, turgide d’acqua, scoscendono le frane.
La nebbia sale fra i larici rapida, come chiamata:
Invano l’ho inseguita col mio passo greve di carne,
Presto ricadrà in pioggia: la stagione è finita,
La nostra metà del mondo naviga verso l’inverno.
E presto avranno fine tutte le nostre stagioni:
Fin quando mi obbediranno queste buone membra?
È fatto tardi per vivere e per amare,
Per penetrare il cielo e per comprendere il mondo.
È tempo di discendere
Verso valle, con visi chiusi e muti,
A rifugiarci all’ombra delle nostre cure.

5 settembre 1979

Primo Levi – Via Cigna

Primo Levi
Via Cigna
In questa città non c’è via più frusta.
É nebbia e notte; le ombre sui marciapiedi
Che il chiaro dei fanali attraversa
Come se fossero intrise di nulla, grumi
Di nulla, sono pure i nostri simili.
Forse non esiste più il sole.
Forse sarà buio sempre: eppure
In altre notti ridevano le Pleiadi.
Forse è questa l’eternità che ci attende:
Non il grembo del Padre, ma frizione,
Freno, frizione, ingranare la prima.
Forse l’eternità sono i semafori.
Forse era meglio spendere la vita
In una sola notte, come il fuco.

2 febbraio 1973