Jorge Enrique Adoum
Equador
Meticciato
Chi conosce suo padre, chi
l’ha visto stancarsi il rene
o ha tastato dall’interno la pelle
fra il vento e l’anima. Le vedove,
giare di noia, feconde trascurate
nell’assalto?
Io so che fui una macchia
notturna su un corpo, quella non lavata
quella che non domandò di me. Come domando:
*
Passeggeri di fretta, chi di voi
mi riempì di odio fin dall’utero, come
da una stanza di un albergo a ore,
chi spianò la fodera di violenza
dove mia madre urlò (sento nel mio osso
il grido, piuttosto un’eco del suo osso),
può lei riconoscere la barba, provare —
il reggimento in formazione — la lingua
con la lingua e dire: E’ stato questo l’uomo?
Ha avuto una parola da uomo, rotta
in sillabe dal bacio o soltanto peli
e liquido? E il resto, è mio il resto
di vivere ogni giorno tutto il giorno, tutta
l’oscurità della fronte e dell’inizio?
*
Orbene: a un tratto esisto, appena
inaugurato. E non ci sono setacci nel sangue,
non c’è visitatore che lo conservi integro,
il nome a volte: oh cognome del ventre,
stirpe che indaga chi è proprio, cosa
diavolo vuole, per mettere insieme come acque
due memorie, e il rancore che sorge
fra le due costole.
(Ma è grave
il resto: essere perché sì, illecito, d’urgenza,
questo iniziare con un soldato e finire
con un soldato, come un racconto di guerra.)
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