Tahar Ben Jelloun
MAROCCO
Compagno
Compagno,
Sci vaccinato contro tutte le malattie, tutte?
Sei schedato per l’imballaggio e l’amore
per offrire sangue voce muscoli corpo
Alla prosperità delle loro industrie
A1 benessere dell’umanità
Alla Croce Rossa e alla Cassa Malattia?
Sei pronto per riportare al tuo paese
denaro straniero e raccontare
«Laggiù, sì laggiù, ah! laggiù
non è come qui…»
Nelle baracche di metallo, in tredici, in sette,
affollati di fraternità
con la solitudine, il silenzio
tra il sogno e la fabbrica,
col desiderio sempre represso:
no, niente prostitute per il nordafricano.
Vogliono che uccidi l’arabo che è in te
dicono che porti germi di barbarie
ti vogliono in un altro corpo, un’altra pelle
loro ti vogliono
come vogliono le tue casse di arance
le tue scatole di conserva
ti vogliono
senza volto, senza sguardo, senza nome, senza famiglia
senza figli
senza desiderio, senza desiderio.
Ti vogliono forza,
assoluta come una cifra.
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Tahar Ben Jellou
Marocco
No
No,
non sei del paese della tua infanzia
tu non hai visto niente
non hai conosciuto nulla
né le nere mura delle prigioni
né la terra in rivolta
né i bordelli di bambini per omosessuali d’occidente
né la mano che si posa sullo sguardo cosciente
e neanche la corda che si tesse con tutte le sue fibre
per non cedere al pianto
né il kif che si coltiva per vivere
del tuo paese hai conosciuto soltanto
la dolcezza solare che vanta la pubblicità
del dolore hai conosciuto il rumore
non sai il bruciante fuoco del cielo
e neanche la vergogna:
la vergogna del tuo silenzio.
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Abdelhak Serhaqne
Marocco
Sui percorsi d’esilio
Sui percorsi d’esilio e di sabbia
risata di deserto
inaspettata una mano
osserva il silenzio
che la leggenda affida
al movimento delle dune
Sole di palme vagabonde
il segno inciampa
socchiude gli occhi
così repentina la notte
così densa e obbediente
la fuga
segue le docili rughe del tempo.
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Abdelhak Serhaqne
Marocco
Niente più e’ vero
niente più è vero
né il lamento dei morti
né il silenzio dei vivi
né l’amarezza di primavere d’angustia
né il fuoco di animi mendicanti
il figlio portato sul dorso
e la nuova brezza
nella risata della notte
niente più è vero
diecimila anni di solitudine
diecimila speranze
mutate in accoramento
diecimila piccole morti
incise nella roccia
e nell’indifferenza
quelli erano i tempi
in cui si doveva
si doveva far ridere le stelle
mungere le pulci
affaccendarsi
i corpi oscuri avevano
disertato il cammino,
diecimila anni:
una piccola eternità
per rifare il mondo.
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Abdellatif LaabiI
Marocco
E quando ho ascoltato
E quando ho ascoltato
l’uomo singhiozzare
ho voluto offrirgli
qualcosa di più della mia testa,
ma cosa?
un’altra nostalgia
di ciò che noi saremmo
senza queste montagne di storia,
un’energia
che darebbe luce soltanto
a un candelabro di tenerezza,
un frammento del tappeto volante
che non si limiterebbe
al solo cielo colonizzato,
una chiave
di carne e sangue
che potrebbe aprire la serratura dell’anima,
un’erba selvatica
che guarirebbe da nefande insensatezze,
una vena d’amore
che unirebbe davvero
la mano al cuore.
Cos’altro?
se soltanto la mia testa solcata da cicatrici
io avevo
da offrire?
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Abdellatif LaabiI
Marocco
Il poeta
Il poeta
passa soltanto
L’avvenimento
non attira le folle
Si è forse sbagliato di epoca di mondo?
Era dunque a tal punto invisibile
che si è smarrito si allontana
senza neanche chiedergli il cammino?
Dove andrà
adesso che le sue radici ascoltano soltanto
il richiamo dell’erranza?
Perché dunque si ostina
a lasciare un testamento
lui che non sa
nemmeno servirsi
di un computer?
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