Jaroslav Seifert
Ho veduto solo una volta
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Izet Sara
Nati nel ventitré, fucilati nel quarantadue
Stasera ameremo per loro.
Erano 28.
Erano cinquemila e 28,
erano più di quanto amore fosse mai stato in una poesia.
Ora sarebbero padri.
Ora non ci sono più.
Noi, che sui binari di un’epoca abbiamo sofferto la solitudine
di tutti i Robinson del mondo,
noi, che siamo sopravvissuti ai carri armati senza mai uccidere,
piccola mia grande,
stasera ameremo per loro.
E non chiedere se potevano tornare.
Non chiedere se potevano ritornare mentre per l’ultima volta, rosso
come il comunismo, si spegneva l’orizzonte dei loro desideri.
Attraverso i loro anni puri, trafitto e retto,
è trascorso il futuro dell’amore.
Non c’erano stati segreti sull’erba schiacciata.
Non c’erano stati segreti sulla camicia sbottonata.
Non c’erano stati segreti sulla mano spossata col giglio colto.
C’era la notte, c’era il filo spinato, c’era il cielo
visto per l’ultima volta, c’erano i treni
che tornavano vuoti, c’erano
i treni e i papaveri,
quei tristi papaveri di un’estate
militare, c’era grande senso
di ispirazione, ricordando il loro sangue.
E su Kalemegdan, su Nevskij Prospekt,
sui Viali del sud e sulle Rive degli Addii,
sulle Piazze dei Fiori e sui Ponti di Mirabeau,
belle anche quando non amano
aspettavano tante Anne, Zoe, Jeannette.
Aspettavano che tornassero i soldati.
E se non fossero tornati, le loro spalle bianche e
non accarezzate avrebbero dato ai ragazzi.
Non sono tornati.
Sui loro occhi spenti sono passati i carri armati.
Sui loro occhi fucilati.
Sulla loro Marsigliese non cantata.
Sulle loro illusioni crivellate.
Ora sarebbero padri.
Ora non ci sono più.
Non luoghi d’appuntamento d’amore ma sepolcri.
Piccola mia grande,
stasera ameremo per loro.
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Jaroslav Seifert
Io volli qui così cantar per voi
Io volli qui così cantar per voi,
mentre ora il vento per l’ultima volta
senza il suggeritore ripeteva
la sua nella notte priva di luci.
Sulle labbra il tuo nome, andrò da lei
come un bambino, seppure bruciasse.
Così l’amai, come s’ama una donna
di cui la gonna il nostro corpo avvolge.
La capricciosa a cui sotto l’ascella
suona la luna come un mandolino,
e quella che veglia e monta la guardia
tenendo la mano in quell’orologio
che va e ancora va né mai più s’arresta.
Praga! Ha sapore di sorso di vino.
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A. Sinkova,
.
I giorni più belli
Vorrei andare da sola
incontro a gente migliore,
non so, forse, verso l’ignoto,
dove nessuno uccide.
Forse vi arriveremo in tanti
all’agognata mèta;
quanti? Forse in mille, ma avanti,
andiamo in fretta!
ragazza cecoslovacca
sfuggita ai campi di concentramento
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Jaroslav Seifert: "Musica e poesia"
Da tempo la vita mi ha insegnato
che musica e poesia
sono al mondo le cose più belle.
Oltre all’amore, ovviamente.
In una vecchia crestomanzia
stampata all’epoca dell’Imperalregia Libreria,
nei tempi in cui viveva Vrchlicky,
cercai una trattazione di poetica
e stili di poesia.
Poi misi una rosellina in un bicchiere,
accesi una candela
e cominciai a scrivere i primi versi miei.
Divampi pure la fiamma di parole
e arda, magari mi bruci le dita:
una sorprendente metafora val più
che anello d’oro.
Ma nemmeno il Rimario di Puchmajer
a niente mi servì.
Invano raccolsi i pensieri
e spasmodicamente chiusi gli occhi
per udire il primo meraviglioso verso.
Nell’oscurità invece di parole
scorsi un sorriso di donna e una chioma
svolazzante nel vento.
Fu il mio destino.
Dietro d’essi ho arrancato
senza respiro per tutta la vita.
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