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Giacomo Leopardi – Il Passero Solitario

Giacomo Leopardi

Il Passero Solitario

D’in su la vetta della torre antica,

Passero solitario, alla campagna

Cantando vai finchè non more il giorno;

Ed erra l’armonia per questa valle.

Primavera dintorno

Brilla nell’aria, e per li campi esulta,

Sì ch’a mirarla intenerisce il core.

Odi greggi belar, muggire armenti;

Gli altri augelli contenti, a gara insieme

Per lo libero ciel fan mille giri,

Pur festeggiando il lor tempo migliore:

Tu pensoso in disparte il tutto miri;

Non compagni, non voli,

Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;

Canti, e così trapassi

Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia

Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,

Della novella età dolce famiglia,

E te german di giovinezza, amore,

Sospiro acerbo de’ provetti giorni,

Non curo, io non so come; anzi da loro

Quasi fuggo lontano;

Quasi romito, e strano

Al mio loco natio,

Passo del viver mio la primavera.

Questo giorno ch’omai cede la sera,

Festeggiar si costuma al nostro borgo.

Odi per lo sereno un suon di squilla,

Odi spesso un tonar di ferree canne,

Che rimbomba lontan di villa in villa.

Tutta vestita a festa

La gioventù del loco

Lascia le case, e per le vie si spande;

E mira ed è mirata, e in cor s’allegra

. Io solitario in questa

Rimota parte alla campagna uscendo,

Ogni diletto e gioco

Indugio in altro tempo: e intanto il guardo

Steso nell’aria aprica

Mi fere il Sol che tra lontani monti,

Dopo il giorno sereno,

Cadendo si dilegua, e par che dica

Che la beata gioventù vien meno.

Tu solingo augellin, venuto a sera

Del viver che daranno a te le stelle,

Certo del tuo costume

Non ti dorrai; che di natura è frutto

Ogni nostra vaghezza

A me, se di vecchiezza

La detestata soglia

Evitar non impetro,

Quando muti questi occhi all’altrui core,

E lor fia voto il mondo, e il dì futuro

Del dì presente più noioso e tetro,

Che parrà di tal voglia?

Che di quest’anni miei? Che di me stesso?

Ahi pentiromi, e spesso,

Ma sconsolato, volgerommi indietro.

Inno Partigiani Fiorentini

Inno Partigiani Fiorentini

Sinigaglia, Lanciotto, Potente

sono nomi coperti di gloria

trucidati sì barbaramente

dai nemici di tutta la storia.

Ma se i martiri nostri son morti

guarderan verso di noi così

e diranno: no, non siam morti,

marceremo con voi come un dì.

Siamo partigiani

si lotta, si vince, si muor

siamo gli italiani

abbiamo una fede nel cuor

per l’Italia bella

tutto daremo ancor

contro i barbari nazifascisti

inesauribile è il nostro valor.

Vai fuori d’Italia

va’ fuori ch’è l’ora

va’ fuori d’Italia,

va fuori stranier!

Fanciullacci, Caiani, Rosselli

son brigate di garibaldini

che guidati dagl’inni più belli

marcian verso i migliori destini

di un’Italia tradita vilmente

da un ventennio di lutti e di orror

liberata sarà finalmente

dal tedesco tiranno invasor.

Siamo partigiani

si lotta, si vince, si muor

siamo gli italiani

abbiamo una fede nel cuor

per l’Italia bella

tutto daremo ancor

contro i barbari nazifascisti

inesauribile è il nostro valor.

Vai fuori d’Italia

va’ fuori ch’è l’ora

va’ fuori d’Italia,

va fuori stranier!

La Campana del Bargello

LA CAMPANA DEL BARGELLO

da giorni e giorni, sei per la storia, ma sembravano mesi, le strade vi erano fatte deserte, la città sembrava vuota, piena di sole, di caldo, di puzzo.

Le persiane tutte chiuse, i portoni sprangati, le saracinesche dei negozi abbassate. Il sole d’agosto batteva spietato sopra le pietre, sopra l’asfalto che sembrava liquefarsi e sopra grossi mucchi di spazzatura che sorgevano qua e là per le strade e che ogni giorno crescevano insieme all’odore terribile di marcio, di cadavere, di fogna. Si cercava di passare più lontano possibile da questi mucchi tanto era violento ed insopportabile l’odore che appestava intorno, ma anche da lontano l’aria ne era impregnata, sembrava che tutta la città, ne fosse piena o che addirittura fosse dentro di noi.

Sole, caldo, puzzo, non c’era dunque più nulla, Firenze sembrava vuota, ma ogni tanto in qualche strada, accanto al marciapiede dov’erano le bocchette dell’acqua potabile (poiché le tubature erano state fatte saltare, un gruppetto di donne che rapido si scioglieva per ricomporsi poco dopo, dimostrava chiaramente che non tutti erano andati via e che dietro quei portoni sprangati, dietro quelle persiane chiuse la, gente viveva silenziosa e spaurita, tutta tesa nella speranza di finire presto quell’incubo terribile. Gli uomini che giravano, pochi, radi, guardinghi, e tutti forniti di bracciali della Croce-Rossa, erano quasi tutti partigiani, così come lo erano tutte le donne che non si dedicavano al solo rifornimento dell’acqua.

Anche se non ci si conosceva, anche se non si apparteneva allo stesso partito o alla stessa brigata, mentre ci s’incrociava rasentando i muri ci guardavamo con simpatia, quasi con affetto, sicuri che anche l’altro era uno dei nostri.

Ma che pena camminare da un Comando ad un distaccamento, dal C.L.N. in Via Condotta al Comando Militare in piazza Strozzi, ,dal Comando di Città in Via Roma, alle Gap di, Piazza D’Azeglio. Per quelle strade deserte rasentavamo il più rapidamente possibile i muri caldi di sole, i portoni chiusi, desiderosi di un nascondiglio, ma certi che non un portone si sarebbe schiuso, non una saracinesca sarebbe stata alzata per noi…. Ogni tanto una pattuglia tedesca o un piccolo bivacco; ce n’erano un po’ dappertutto formati in genere da soldati armati, o con i mitra appoggiati accanto, il giorno erano spesso incuranti di tutto, ormai avviliti e stanchi anche, loro. La notte invece non facevano che sparare forse per farci stare fermi e zitti, per tenere tutta la città calma e morta, forse per coraggio.

La notte non passava mai, ma ogni mattina risorgeva la speranza nella giornata si sarebbe avuto l’ordine d’insorgere: gli americani avrebbero attaccato, i tedeschi se ne sarebbero andati; ma ogni sera c’invadeva lo sconforto di un’altra notte da passare.

La notte del 10 agosto, dopo aver dato insieme alla Lea l’ultima occhiata da una terrazza su via Tosinghi, al piccolo bivacco dei cinque o sei tedeschi che si era accampato con pentole e scatolame ed armi dentro il portone dell’UPIM e che noi vedevamo d’infilata attraverso Via dei Medici, ci sdraiammo per terra su di un logoro tappeto (dalla prima sera dell’emergenza non ci spogliavamo più).

_Lea, domani è il mio compleanno, vedrai che domani se ne andranno ».

«-Speriamolo, non ne posso più ».

E il suo viso grassoccio ed infantile ebbe una smorfia di pianto.

Nel profondo sonno qualcuno ci destò. Era Alfio, aveva una voce strana, quasi un falsetto:

– Ragazze i tedeschi sono andati via ».

« Come, davvero’? » fatemi vedere dal terrazzo ». Ci affacciammo tutti e tre, il portone dell’UPIM era vuoto. Mentre Lea svegliava tutto il Comando, io ed Alfio ci precipitammo fuori in ispezione; era ormai giorno chiaro ma l’aria era ancora fresca e la luce rosata dell’alba.

Non sentii più il puzzo, mi sembrò che anche quello fosse sparito con i tedeschi.

Ed Alfio si avviò lungo l’Arcivescovado mentre io correvo lungo la facciata del Duomo. Mi ricordai che in Piazza San Lorenzo la sera prima c’erano tanti tedeschi ma Alfio non vedeva più. Corsi lungo Via Martelli, nessuno all’altezza di Via dei Pucci sull’angolo di Piazza San Lorenzo, Alfio mi fece cenno di proseguire per Via Cavour, lo ritrovai sull’angolo di Via degli Alfani, ci .abbracciammo commossi mormorando:

« Liberi, liberi ».

Si tornò correndo insieme fino in Via Roma al Comando di Città,  Albertoni mi mandò al Comando Militare in Piazza Strozzi, dal Colonnello Niccoli. Da lui ebbi gli ordini da portare in Palazzo Vecchio, di nuovo mi misi a correre: Piazza Strozzi, Via Monalda, Via Porta Rossa, Via Calzaiuoli, Piazza Signoria, Via della Ninna… per le strade deserte tutto era fermo, vuoto, silenzioso; i miei passi, mal¬grado i sandali sottili, risuonavano sul selciato suscitando echi da città morta che mi davano uno strano senso di paura.

In Via della Ninna la porta mi fu subito aperta: finalmente una divisa non tedesca, quasi caddi addosso ad una guardia di città che Mi portò da Stagni ancora mezzo addormentato.

«-La campana del Bargello si deve far suonare subito, si deve alzare il tricolore su Palazzo Vecchio ».

Io dovevo correre ancora ad avvertire il Comitato di Liberazione in Via Condotta erano già passate le cinque. Di nuovo spiccai la corsa, ma non ce la facevo più il mio cuore sembrava volesse scoppiare mi sentivo disperata e felice, affranta e piena di energia. Davanti alla saracinesca abbassata della Farmacia Bizzarri mi arrestai smarrita la campana del Bargello, ferma da quattro anni, aveva dato un rintocco che in quel silenzio sembrava magico, ecco… il secondo, alzai gli occhi verso l’alto ed un altro miracolo mi apparve: lentamente sulla torre di Palazzo Vecchio si alzava il tricolore. M’inginocchiai piangendo sul marciapiede mentre ad una ad una le persiane della piazza si spalancavano, una donna da una finestra bassa mi chiese urlando:

Se ne sono andati? ».

« Siamo liberi, liberi », risposi singhiozzando ed allargando le braccia… un rumore di chiavistelli, un portone si apre, ed un altro ancora, una donna esce correndo da una porta mi si butta tra le braccia gridando: « Sono andati via, sono andati via! ». Lo grido anch’io senza quasi rendermi conto di abbracciarla piangendo. È commovente, meraviglioso, sublime, ma io non posso godere più a lungo della gioia di questa gente che ha finito di aver paura della morte, che crede di novella gioia e nella libertà, io devo correre al C.L.N. Devo andare a dire che facciano presto che si facciano tutti belli che vadano subito a Palazzo Riccardi.

Poi potrò guardare, ridere, cantare, dormire; no, poi ci sono ancora tante cose da fare!

Il CTLN va ad occupare la Prefettura

Ma che confusione tra i membri importanti del C.L.N.! La notizia della liberazione era giunta ancor prima di me, infatti rapidissima da Piazza Signoria si era propagata per mille rivoli insieme all’onda sonora della campana del Bargello. Al mio ingresso mi si parò davanti l’onorevole Martini, così buffo e simpatico che scoppiai a ridere, girava per le stanze del piccolo appartamento, sbracato, con le bretelle ciondoloni dietro, cercando come farsi la barba e stringendosi sul cuore una catinella. L’Adina, la loro bravissima staffetta, era già pronta, elegante, fresca, fresca, pettinata, pulita. Era stata sempre per me fonte di continua ammirazione ed anche d’invidia per come riusciva ad essere sempre fresca ed elegante malgrado quella maledetta vita che si faceva e con tutta la strada che anche lei ogni giorno era costretta a percorrere.

Enzo era il più calmo. Uno del Comitato forse a causa di quella irriverente e risata in faccia a Martini, mi disse con una nota di disappunto nella voce: « Lei, signorina, ora dovrebbe mettersi il bracciale ». Fu la nota stonata di quella giornata (ma presto ne seguirono altre per via di quel benedetto bracciale m’impedirono di entrare in Palazzo Riccardi. Ne avevo confezionati tanti di quei bracciali, nei momenti d’ozio, che proprio non avevo pensato a tenerne uno per me.

Albertoni me ne dette uno e con gesto un po’ melodrammatico, me lo mise al braccio scesa così in istrada notai che la gente mi guardava; erano ancora pochi ad adornarsi del bracciale con il "Cavallino" e suscitava ammirazione e curiosità.

Una ragazza mi fermò per chiedermi come avrebbe fatto d averne uno anche lei: «Bisognava guadagnarselo prima » le risposi asciutta, poi mi vergognai, mi tolsi il bracciale, lo riposi i tasca tasca e non lo misi più.

lnfatti poche ore dopo ero di nuovo dove erano ancora i tedeschi; tornai in centro dopo parecchi giorni il bracciale con il cavallino era giù passato di moda.

Nella stessa mattinata mi trovai a Palazzo Vecchio quando tornava Carlo Ludovico Ragghianti da oltrarno dove era andato a prendere accordi con il Comando alleato, insieme a due ufficiali del Comando inglese. Ragghianti mi presentò loro, ed il più giovane mi disse: « Guaita, proprio Guaita? Allora tanti saluti da suo fratello ».

Mio fratello!… Sei mesi prima, Nino, passando le linee, ci aveva portato una sua fotografia con la moglie ed il bambino nato in quei mesi; da allora non avevamo saputo più nulla, e questa notizia così inaspettata mi rese ancora più sensibile e più scoperta a tutte le emozioni di quella meravigliosa giornata. Erano troppe per sopportarle da sola, dovevo, volevo, vedere mia madre che, pur malata di cuore, aveva in quei lunghi mesi divise con me e per me molte ansie e paure.

Albertoni, il comandante delle squadre di città, doveva darmi il permesso di andare a casa, così tornai in Via Roma. Le strade formicolavano di folla; folla anche sul portone di Via Roma. Mi scontrai in Adriano che traversava di corsa il marciapiede per salire su una macchina insieme a Gigi e ad altri partigiani armati fino ai denti. « Andiamo a fare un’azione sul Mugnone » mi gridò eccitatissimo, già dall’auto in moto. Dio mio, pensai, purchè, non muoiano proprio ora, alla fine!…

Ecco Alfio:" Abbiamo preso tre spie, vuoi vederle? ».

Mi accompagnò al portone accanto, lì nel cortile si fermò davanti ad un grosso canile: accucciato al posto del cane, con l’aria anche lui di un cane rabbioso, c’era un giovanotto biondo con occhi chiarissimi pieni di odio e paura, aveva, stretto ad una coscia, un collare da cane, rinforzato da una catena con lucchetto. Dalla camicia aperta fino alla cintura si vedeva un petto bianco, molliccio, quasi femminile, sul quale luccicava, appesa ad una catena d’oro, una grossa croce, che ogni tanto con gesto nervoso si toccava quasi ad assicurarsi che ci fosse ancora.

« Ma Alfio, che strana idea! ».

« Oh, non vorrai mica che si sprechi un partigiano combattente per stare a guardia di questo qui. E poi in serata verrà la polizia inglese a prenderseli. Le altre sono due ragazze, vuoi vederle? ».

"No, basta così ».

La stanza d’Albertoni era piena di staffette e di comandanti, Albertoni, serio, davanti ad una gran carta di Firenze piena di croci rosse e blù, sembrava quasi un generale vero.

Tutte le staffette chiedevano la stessa cosa, munizioni e rinforzi alla, periferia di Firenze, sul Mugnone e sull’Africo si stava combattendo e le munizioni erano poche.

Albertoni aveva per tutti la solita risposta " Gli inglesi hanno promesso di darci le munizioni e di entrare in azione anche loro ».

Alberto qui non ho più nulla da fare, posso andare a casa? Non c’è più niente da fare? E pari come ci vai? Sulla ferrovia; sia alle Cure che al Campo di Marta, si combatte

Passerò dal Ponte del Pino ». Uhm, hanno ferito anche il dott. Horloch molto

gravemente, pare sia morto. Anche Baratti è stato ferito ». Come arrivavano presto le notizie "Ho bisogno di sapere cosa è successo a mia madre, non posso resistere più ».

Albertoni si tolse la pipa di bocca, mi guardò con quella sua aria assente:

« Va bene, al Ponte del Pino c’è la squadra di Gigi Belli, appena verrà la sua staffetta andrai con lui, ti farà passare ».

« Va bene, grazie, addio ».

Ma non ebbi pazienza di aspettare. Col cuore un po’ peso, ma con un enorme desiderio di abbracciare stretta mia mamma, mi recai al giardino dei Semplici,

Giardino dei Semplici diventato il cimitero della città, sicura di trovare lì qualcuno con cui passare il famoso Ponte del Pino, sul quale i tedeschi sparavano di continuo.

Non mi ero sbagliata, potei subito accodarmi ad una carovana capitaata da Don Poggi, il bravo prete di S.Gervasio che malgrado il suo graan buzzo fu in quel periodo instancabile e coraggiosissimo.

Gran stendardo bianco, due crocerossine, il sagrestano di S. Gervasio un altro vecchio, sei, sette donne. Fu un vero viaggio, a fare mezz’ora di strada ci si mise due ore, ero esasperata ed affranta, le mitragliatrici di Piazza Savonarola e quelle dei Molini Biondi mi facevano più paura di tutti i bombardamenti passati.

Il gruppo di Don Poggi

Trovai mia madre in Via Marconi, era ferma con altre donne ad una di quelle bocchette dalle strade a prendere acqua. Mi vide da lontano, io cominciai a cor¬rere e lei pure, sembrava una ragazzina, ma poi stretta contro di me non 1e riuscì parlare tanto il cuore, povera vecchina, le batteva forte in gola. Divisi la cena con mio padre e mia madre: come tanta altra gente in quei giorni non avevamo che un po’ di piselli secchi lessati nell’acqua.

Anche noi in Via Roma non avevamo molto di più da mangiare, e qualche volta anche meno, all’infuori del giorno nel quale Olìviero (l’oste della Ceviosa la cui cucina dava sul nostro stesso cortile) ci offrì a caro prezzo una testa di vitello. Non contrattammo neppure tanto eravamo preoccupati di dar qualche cosa da mangiare ai partigiani di Didon che erano arrivati, passando diversi blocchi tedeschi,da Monte Giovi per partecipare all’insurrezione di Firenze, e si erano accampati nel cortile dello stabile con grande paura e preoccupazione dei diversi inquilini. La testa di vitello risultò formicolante di vermi, io quasi mi sentii male al solo vederla; la brava Noemi, con la forza della disperazione, aiutata dalla portinaia, la lavò a lungo nell’aceto e la, cucinò … Ma Alberto era furioso di essere stato giuocato e, quale capo responsabile della Sussistenza, decise di far man bassa nottetempo, nella cantina dell’oste. Non c’erano vettovaglie, ma casse e casse di vini pregiati e di liquori di marca. Fu preso tutto e fu tutto distribuito. Furono date delle bottiglie anche, agli inquilini dello stabile che per l’occasione smisero di avere paura. L’indomani ogni staffetta che– arrivava, ripartiva ben provvista di liquori, ritornava dove era par¬tita più contenta, non c’era da mangiare, ma almeno si sarebbero scaldati il cuore per i momenti della lotta con qualche cosa di forte. Anche noi si seguiva così, grazie alla cantina d’Oliviero, la tradizione degli eserciti regolari.

Ora, davanti a quei disgustosi piselli secchi, pensavo che anche a loro, poveri vecchi, una bottiglia di vino vecchio avrebbe fatto tanto bene…..

Finalmente ero nel mio letto: come ci si stava!…

Ma ecco da Fiesole cominciò a sparare il cannone, o forse aveva già cominciato, pur io nell’emozione di quei primi momenti non avevo avuto il avuto il modo di sentirlo. Il colpo partiva con un sibilo ed arrivava con un tonfo, si sentiva partire non si sapeva dove arrivava.

Non so come avvenne, qualcosa crollò dentro di me, forse fu il sen¬tire ehe ormai non ero più con quelli che perdevano sempre perché erano troppo pochi, e con i quali bisognava resistere fino alla fine. Ormai tutti noi, quelli che erano rimasti di noi, erano uniti a quelli che vincevano perciò io non avevo più niente da fare, io mi potevo per¬mettere di avere paura.

Ed ebbi paura, tanta paura, tutta la paura arretrata di mesi e mesi, restai per giorni sdraiata a letto, non, riuscivo né a mangiare né, a bere e neppure a dormire, ero lì intenta ad ascoltare le bombe che arriva¬vano da Fiesole, la partenza e l’arrivo, incapace di pensare e di die altro, altro che:

«E’ partita… è arrivata… è partita… è arrivata… ».

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA DI FIRENZE

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA

DI FIRENZE

LANCIOTTO BALLERINI
« Comandante dal settembre 1943 la P, Formazione Garibaldina Toscana, la guidò valorosamente per 4 mesi nelle sue molteplici azioni di guerra. Con soli 17 uomini affrontava preponderanti forze nemiche e dopo aver inflitto fortissime perdite, sí da costringerle a. ritirarsi su posizioni retrostanti, assaliva arditamente da solo, a lancio di bombe a mano, l’ultima posizione che ancora minacciava la sorte dei suoi uomini. Cadeva, nel generoso slancio, colpito in fronte dal fuoco nemico ».
Monte Morello, 3 gennaio 1944
VITTORIO BARBIERI
« Tenente di complemento degli alpini fu tra i primi ad intrapren­dere la lotta clandestina alla quale si dedicò con attività instancabile. Comandante della 2" Brigata " Carlo Rosselli " condusse piú volte i suoi uomini alla vittoria. Dopo un violento combattimento contro il preponderante nemico, riordinate le forze superstiti, cercò di aprirsi la strada verso Firenze, nel supremo tentativo dì continuare la lotta per la difesa della città. Catturato dai tedeschi mentre procedeva in avan­scoperta, assumeva, di fronte al nemico, con sublime gesto di abnegazione, ogni diretta responsabilità, dichiarando apertamente la propria qualità di Comandante e salvando in tal modo la vita al partigiano che lo ac­compagnava. Dopo atroci sevizie sopportate con sereno coraggio veniva fucilato. Fulgido esempio di dedizione alla causa della libertà ».
Paretaia – Fiesole, 7 agosto 1944•
ALIGI BARDUCCI (Potente)
Sfidando ogni pericolo consacrava la sua attività ad animare, suscitare, rafforzare il fronte della Resistenza in Toscana.
Organizzatore dei primi distaccamenti partigiani in quella zona costitui la Brigata " Garibaldi " Lanciotto, la comandò in ripetuti durissimi scontri guidandola con intrepido valore ed alto spirito di sacrifici in vittoriosi combattimenti come quelli ormai leggendari per la difesa di Cetica.
Comandante della Divisione Garibaldi " Arno " portava i propri reparti all’avanguardia dell’esercito alleato nella battaglia per la libera­zione di Firenze.
Affrontava eroicamente l’ostinata e rabbiosa resistenza tedesca, apriva un varco tra le file nemiche e guidava ì volontari italiani ad entrare combattendo primi in Firenze, sua città natale.
Alla testa come sempre dei propri uomini mentre dirigeva l’azione dei Garibaldini contro le retroguardie tedesche asserragliate nella città, cadeva colpito da una granata nemica ».
Firenze, 9 agosto 1944•
ENRICO BOCCI
« Tempra di patriota dedicò tutta la sua esistenza alla lotta contro l’oppressore per il supremo ideale della libertà e della giustizia. Fu tra i primi ad impugnare le armi, facendosi promotore ed organizzatore della lotta militare clandestina in Toscana. Organizzò e diresse, in ambiente particolarmente sorvegliato dal nemico, il servizio di radio­trasmissione, che, attraverso numerose stazioni clandestine, mantenne il collegamento con gli alleati. Braccato dai nazifascisti, riusci a sfug­gire alle insidie che quotidianamente gli venivano tese per catturarlo; finché, sorpreso nella sede del comando del servizio radio, fu impri­gionato e sottoposto ad inaudite sevizie. Agli aguzzini che tentavano strappargli con le barbare torture rivelazioni sul servizio radiocollega­mento che tanto loro nuoceva, rispose col contegno dei forti irrobu­stito dalle sofferenze e non una parola che potesse nuocere ai compagni e al servizio usci dalle sue labbra. Nulla : saputo del suo destino ».
Firenze, giugno 1944•
ELIO CHIANESI
« Vessillifero della lotta contro l’oppressore, fu tra i primi ad of¬frire il braccio alla Patria umiliata. Organizzatore dei gruppi di azione partigiana diresse e partecipò alle più ardite azioni, dimostrando spirito di sacrificio ed abnegazione impareggiabile, animando i dipendenti con la fredda determinazione e la indomita temerarietà. Ricercato ac¬canitamente dalla polizia nazi-fascista, piuttosto che arrendersi accet¬tava un impari combattimento. Piú volte colpito, con le carni lacere e sanguinolenti, interrogato e seviziato con sadica ferocia, parlò solo per esprimer dispregio al barbaro nemico.
Leggendaria figura di combattente per la libertà, a questa offri la vita in olocausto ».
Firenze, 15 ottobre 1943 – 15 luglio 1944•
ANNA MARIA ENRIQUES AGNOLETTI
« Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria, e nei pericoli e nelle ansie della lotta clandestina ricercò senza tregua i fra¬telli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice.
Tratta dopo un mese di carcere dalle Murate, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice.
Indimenticabile esempio di valore e di sacrificio »
1 In realtà, come è detto nel testo, A. M. Enriques Agnoletti fu fucilata nei pressi di Cervina, sulle falde del Monte Morello.
BRUNO FANCIULLACCI
« Reduce da confino per motivi politici, 1’8 settembre 1943 iniziò la sua attività partigiana compiendo audaci atti di sabotaggio, e temerari colpi di mano che disorientarono l’avversario.
Arrestato una prima volta e ridotto in fine di vita dalle pugnalate infertagli dalla sbirraglia, veniva salvato dai compagni accorsi generosamente a liberarlo. Ripreso, ancora convalescente, il suo posto di lotta, veniva nuovamente arrestato. Venuto a conoscenza che le S.S. nazi-fasciste erano in possesso di un documento compromettente la vita dei suoi compagni, tentava con somma audacia di saltare da una finestra per avvertirli del pericolo incombente su loro ma nel com¬piere l’atto veniva raggiunto da una raffica di mitra che gli stroncava la vita ».
Firenze, settembre 1943 – luglio 1944•
ADRIANO GOZZOLI
« Caposquadra partigiano, ardito fra gli arditi, nelle piú dure ed audaci azioni di guerra e nei frangenti piú disperati, con l’esempio lo slancio e la passione sapeva trascinare ad alte gesta i compagni di lotta. San Martino del Mugello, Polcanto, Vicchio di Mugello, Santa Brigida, il Falterona e le campagne di Londa e di Madonna dei Fossi videro l’eroico valore del pugno di uomini da lui guidati che, con il loro sangue, fecondarono per piú alti destini il sacro suolo della Patria oppressa. Catturato per agguato subí torture e sevizie, che alternate a lusinghe, non valsero a piegare la sua tempra e con epica fierezza affrontava il plotone di esecuzione, suggellando il breve corso della sua giovane vita col grido fatidico di Viva l’Italia ».
Mugello-Firenze, 8 settembre 1943 – 3 maggio 1944•
TINA LORENZONI
« Purissima patriota della Brigata " V martire della fede italiana compi sempre più del suo dovere. Crocerossina e intelligente informa-trice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d’Italia.
Allo scopo di alleviare le perdite della Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti azioni, onde render possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente al termine, la condusse verso la cattura e verso la morte. Gloriosa eroina d’Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale ».
Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944•
LUIGI MORANDI
« Studente universitario, fin dai primi giorni della lotta dedicò la sua attività quotidiana e instancabile a uno dei più delicati settori della vita clandestina, trasmettendo per radio importanti notizie agli alleati. Benché continuamente braccato dal nemico che cercava con ogni mezzo di stroncare le informazioni sulla propria attività militare e di individuarne la fonte rivelatrice, rimaneva impavidamente al suo posto di combattimento per adempiere, tra i più gravi rischi e le più dure difficoltà, il compito che aveva volontariamente assunto. Sorpreso dalle S.S. tedesche mentre trasmetteva messaggi segreti, riusciva con mirabile sangue freddo a distruggere i cifrari e a dare l’allarme alla stazione ricevente. Sparava quindi, fino all’ultimo colpo, contro i nemici, finché dopo averne uccisi tre ed essere stato più volte colpito, cadeva sopraffatto, salvando il servizio, che egli stesso aveva organizzato col proprio eroico sacrificio ».
Firenze, 7 giugno 1944•
ITALO PICCAGLI
« Ufficiale di elevatissime doti morali e di fermissimo carattere, assunse immediatamente dopo la dichiarazione di armistizio un aperto atteggiamento di ostilità contro i nemici germanici e di assoluta intransigenza verso i collaborazionisti italiani. Dopo avere, nella progressiva organizzazione di una vasta ed efficientissima rete di attività operativa ed informativa, corso per più mesi i più gravi rischi ed essersi esposto ai peggiori disagi materiali, che da soli costituirono un irreparabile danno ed una acuta minaccia per la sua fibra fisicamente minata, non esitò in seguito alla scoperta da parte delle S.S. del centro radio-trasmittente, da lui impiantato e col quale aveva stabilito preziosi collegamenti con l’Italia libera e con gli Alleati, a consegnarsi ai tedeschi per scagionare i compagni che vi erano stati sorpresi. Durante l’interrogatorio, malgrado le sevizie esercitate su lui e sulla moglie, dichiarò apertamente a fronte alta di essere il capo e il solo responsabile, di essersi mantenuto fedele al proprio giuramento ed al proprio dovere di soldato e di esserne fiero. Già condannato a morte, ma lieto di aver potuto salvare i compagni ed orgoglioso di aver potuto superare con la volontà quella malattia che gli aveva impedito di offrire per il bene d’Italia la vita come combattente dell’aria, nell’ultimo saluto alla moglie che stava per essere internata in Germania, ebbe la suprema forza d’animo di nascondere la decisione che già era stata presa contro di lui. All’atto dell’esecuzione, con lo sguardo sereno, rincuorò alcuni patrioti, che dovevano essere con lui fucilati, ad affrontare coraggiosamente la morte.
A questo scopo chiese ed ottenne di essere fucilato per ultimo. Dinanzi al plotone pregò che si mirasse a destra perché il polmone sinistro era già invaso dalla morte. Esempio irraggiungibile,
di purissimo amore di Patria ».
Firenze, 9 settembre 1943 – 9 giugno 1944

Mario Masini – follia di sempre

Mario Masini

Follia di sempre

Follia di sempre stessi gesti

motivazioni nuove

nei cuori acerbi

muovono.

Solo,
ora il fratello gira anch’esso armato

e non volge le spalle al suo Caino.
Nel dissonante

coro in crescendo
d’urla diverse,
amore
su per il mondo suona unica voce

non udibile mai
annullata dispersa:
splendido tintinnio

di preziosa rugiada
da verdi larghe foglie speranzosa

a goccia a goccia stillante
presso il fragore

d’una cascata immane.

Guardo le tue mani – Giulio Stocchi

Guardo le sue mani che danzano sulla tastiera
Da esse scaturisce  non un mondo 
ma una lotta
per far sì che sia gentile il mondo
Il suo viso è un poco accigliato quasi assorto
Poi mi fa cenno
E quando si unisce  la mia voce alle sue note
capisco  che questa sintonia
è la cosa semplice
di cui scrisse il poeta difficile da fare
e tuttavia fattibile

Erri De Luca – Considero Valore ogni forma di vita

Erri De Luca
Considero Valore ogni forma di vita

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.Considero valore tutte le ferite

.Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord,qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto

Mario Masini – Mio padre io lei loro la poesia

Mario Masini

Mio padre io lei loro la poesia

Venne appiccato il fuoco

per mano che conosco.
Ne fu combusta tutta
la grande quercia
e intorno a sé seccò le più vicine.
Nel mio giovane tronco
divenuto cavo
cadde il silenzio,
e la termite

già cominciava a rosicchiare il torso.

Profonda

una radice piccola e viva ancora

in una bruna

vergine terra
incominciò a succhiare.

Fu la salvezza lenta.
Teneri polloni sono nati
l’uno vicino all’altro.
A un’arnia ho dato posto
dentro me

che brulica di versi.

Cassaforte di miele per chi ha fame
l’albero cavo adesso
risuona di speranza.

73

Guido Gozzano – Le golose

Guido Gozzano
Le golose

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine –
le dita senza guanto –
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!

Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.

C’è quella che s’informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.

L’una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.

un’altra – il dolce crebbe –
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!

Un’altra, con bell’arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall’altra parte!

L’una, senz’abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare

sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.

Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,

di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!

Perché non m’è concesso –
o legge inopportuna! –
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,

o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Ernesto Ragazzoni – ballata

Ernesto Ragazzoni

Ballata

Se ne vedono pel mondo
che son osti… cavadenti
boja, eccetera… o, secondo
le fortune, grandorienti;
c’è chi taglia e cuce brache,
chi leoni addestra in gabbia,
chi va in cerca di lumache,
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
io fo buchi nella sabbia.

I poeti, anime elette,
riman laudi e piagnistei
per l’amore di Giuliette
di cui mai sono i Romei;
i fedeli questurini
metton argini alla rabbia
dei colpevoli assassini;
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
io fo buchi nella sabbia.

Sento intorno susurrarmi
che ci sono altri mestieri…..
bravi; a voi! scolpite marmi,
combattete il beri-beri,
allevate ostriche a Chioggia,
filugelli in Cadenabbia
fabbricate parapioggia,
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
io fo buchi nella sabbia

O cogliete la cicoria
od allori. A voi! Dio v’abbia
tutti e quanti in pace, in gloria!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
io fo buchi nella sabbia.